Cultura e Spettacoli

L’irrequieto tramonto dei Gattopardi

Sua zia, la contessa Giulia Trigona di Sant’Elia, fu uccisa a Roma nel 1911 Lo scrittore negò di ricordarla, ma...

Quando, il 30 novembre del 1954, si uccide precipitando dal secondo piano dell’Hotel Eden di via Veneto, ad accorrere è tutta la Roma che conta, e non solo quella. Arrivano Gianni Agnelli ed Alberto Moravia, Curzio Malaparte ed Edda Ciano, Dado Ruspoli e Giuseppe Tomasi di Lampedusa. La vita di Raimondo Lanza, figlio illegittimo dell’unico erede della casata Trabia Branciforti, finisce nel modo in cui era andata avanti negli ultimi vent’anni: sotto il flash dei fotografi e sulle prime pagine dei settimanali patinati. In una sorta di ideale contrappasso, per più di cinquant’anni la sua memoria è stata consegnata all’oblio della pubblicistica. Vincenzo Prestigiacomo, giornalista della Sicilia e della Gazzetta dello Sport, ha ora deciso di far fronte a questo incredibile vuoto ed ha scritto una documentata biografia (Il principe irrequieto, Nuova Ipsa, pp. 188, euro 12).
Raimondo Lanza di Trabia nasce la notte del 9 settembre del 1915. Ha il sangue blu, ma è figlio di uno scandalo. I suoi genitori non sono sposati: il padre è Giuseppe Lanza Branciforti di Scordia, l’ultimo rampollo di una delle famiglie più blasonate d'Europa; la madre è Madda Papadopoli Aldobrandini, una nobildonna veneziana che ha già una figlia, nata da un altro legame. Per la sua legittimazione, non basterà nemmeno l’amicizia della famiglia con il principe Umberto: bisognerà aspettare diversi anni prima che una legge ad personam sani la sua situazione e quella del celebre conte Volpi. Dopo la morte del padre Giuseppe, stroncato da una febbre tifoide, Raimondo si trasferisce dai nonni, al Palazzo Butera di Palermo. Lì trova una vera e propria corte: camerieri in livrea, cuochi, bibliotecari, cocchieri e stiratrici vigilano sul palazzo seicentesco, dove i Branciforte hanno ospitato alcuni tra i più importanti regnanti europei.
Sono gli anni della Belle époque palermitana: il centro storico custodisce le nuove costruzioni liberty che cingono il Teatro Massimo e quello del Politeama. Ma a Raimondo, ancora giovanissimo, capita un episodio che lo impressiona. La sua splendida bicicletta Bianchi, lasciata incustodita, gli viene rubata. Si rivolge ai carabinieri, ma senza alcun esito. Quando rientra al Palazzo, incontra lo stalliere dei Trabia e gli racconta del furto. Il palafreniere, stimato tra l'altro per la destrezza nell'uso di una particolare lama, il cosiddetto «liccasapuni», lo tranquillizza. La mattina dopo, di fronte al Palazzo, ecco la bicicletta, con un biglietto anonimo: «Il picciotto ha sgarrato e chiede perdono».
Ma i Trabia sono anche proprietari di uno splendido castello, che si trova a venti chilometri dal capoluogo siciliano, e di una delle più antiche tonnare siciliane. Per Raimondo quella della pesca del tonno è un’autentica passione e sin da giovane vi si dedica con determinazione ed intraprendenza. Capita così che non ancora diciottenne si tuffi dalla propria barca ed accoltelli a morte un pescecane, ricavandone dalle fauci un portacenere.
Il principe ama molto viaggiare: si sposta tra Roma, Madrid e Londra, è conosciuto ed apprezzato dai gerarchi del regime, specie da quelli sensibili alla noblesse ed ai suoi riti. È tra questi Galeazzo Ciano, di cui gode la protezione, e la moglie Edda, che proprio a Prestigiacomo confessa: «Non un vero flirt ma qualche carezza, qualche bacio per riderci sopra ci fu, sì». Il 1936 è l’inizio della guerra civile spagnola: Raimondo parte come volontario e l’anno successivo partecipa alla battaglia di Guadalajara. Col consenso di Galeazzo, decide di infiltrarsi nel battaglione dei «leoni rossi» guidati dal generale Moscardo per ricevere notizie su alcuni trafugamenti di opere d’arte. Tornato in Italia, all’Excelsior di Roma incontra Susanna Agnelli. La nipote del fondatore della Fiat ne resta subito folgorata: «Quando entrava in una stanza era come un fulmine. Tutti smettevano di parlare o di fare quello che stavano facendo: gridava, rideva, baciava tutti, scherzava. Divorava il cibo come una macchina per tritare i rifiuti, beveva come un giardino assetato in un deserto, suonava il pianoforte, telefonava e mi teneva la mano, tutto contemporaneamente». Nel giugno del 1940 i due si fidanzano, ma la storia dura poco. Nel ’43 Raimondo riprende le attività di controspionaggio, anche se questa volta in favore dei partigiani.
La guerra finisce e Raimondo riprende subito la vorticosa vita del jet-set, diventa presidente del Palermo calcio, fraternizza con Rita Hayworth, Joan Crawford e Aristotele Onassis, che ospiterà nella sua residenza estiva. Sono però gli ultimi bagliori di una vita straordinaria. Nel Natale del 1947 muore la nonna Giulia, subito dopo iniziano i guai finanziari, parzialmente risolti grazie all’aiuto dell’amico Gianni Agnelli. L’unica nota felice è il matrimonio con l’attrice Olga Villi e la nascita della figlia Venturella. Afflitto da costanti febbri nervose, si lascia convincere a farsi visitare da uno stimato neurologo romano, suo amico. È l’ultimo viaggio che compie.
La sua morte violenta, che ispirerà a Domenico Modugno il testo del Vecchio Frac, ne anticipa di poco un’altra, altrettanto drammatica e significativa: l’aristocrazia dei gattopardi esce di scena. A lodarne il canto, o forse a registrarne l’ultimo respiro, resta il solo Tomasi di Lampedusa.

Ed il successo del suo capolavoro non fa che sancirne l’estinzione, consegnando la Sicilia dei principi non alla recente cronaca, ma direttamente al patrimonio archeologico dell’Isola.

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