Per l’islam la vera sfida è la libertà d’opinione

Alberto Indelicato

Durante una seduta dell'assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa dedicata alla libertà d'opinione e alla libertà religiosa il primo ministro turco Recep Tayyp Erdogan, capo di un partito islamico moderato, ha affermato che l'islamofobia dovrebbe essere sanzionata come un crimine contro l'umanità. Per islamofobia egli intende qualsiasi discussione della religione e dei costumi degli islamici. Evidentemente la concezione che il massimo rappresentante del governo turco ha della libertà d'opinione differisce notevolmente da quella che sta (o dovrebbe stare) a fondamento delle istituzioni dei Paesi europei. Forse Erdogan non aveva seguito nei mesi scorsi le polemiche sul «Codice da Vinci», libro in cui la religione cristiana viene ridicolizzata nei suoi dogmi. Coloro che non erano d'accordo con le discutibili tesi dell'autore le hanno per l'appunto discusse, hanno esposto le loro ragioni, ma non hanno certo invocato l'intervento di un'autorità pubblica e principalmente non hanno messo in discussione il diritto di Dan Brown di scrivere quello che voleva su Gesù e Maria Maddalena. D'altronde nei secoli scorsi altri autori avevano scritto di peggio.
Abbiamo detto che la libertà d'opinione «dovrebbe stare» a fondamento delle istituzioni dei Paesi europei perché è proprio sulla libertà d'opinione che Erdogan può denunciare l'ipocrisia di alcuni europei. Egli avrebbe potuto ad esempio citare il caso della Francia, dove è considerata reato la negazione della shoà, e si vuole punire anche chi esprime valutazioni non del tutto negative sul colonialismo. Tuttavia queste proibizioni, che non fanno onore all'Europa, dovrebbero indurre Erdogan a riflettere. È stato accontentato: voleva una censura e l'ha avuta. Aderendo alla richiesta degli armeni, l'Assemblea nazionale ha dichiarato reato la negazione del loro massacro, avvenuto nel 1915 ad opera degli ottomani. La decisione della Camera francese ha suscitato le proteste dei turchi, i quali sostengono che il massacro non è mai avvenuto e rinfacciano a Parigi le torture in Algeria.
Come era prevedibile, la proibizione per legge di un’espressione del pensiero dà la stura ad altre richieste uguali e contrarie con il risultato che, se accolte, verrebbe totalmente soppressa la libertà d'opinione. Già a proposito del colonialismo, di cui per legge si deve dire soltanto male, gli storici francesi protestarono energicamente contro la pretesa delle autorità politiche di fissare dei limiti alla libertà di ricerca, oltre che a quella di opinione. Essi avrebbero potuto citare l'opinione di Engels («La conquista dell'Algeria è un fatto importante e propizio al progresso della civiltà») o il giudizio di Marx sugli slavi, definiti «canaglia miserabile, polvere di popoli buona soltanto ad essere dominata da tedeschi ed ungheresi». I due grandi sacerdoti del comunismo, se oggi scrivessero tutto ciò in Francia, rischierebbero il processo. E non solo in Francia. In base alle norme europee, un pubblico ministero può indagare direttamente in qualsiasi Stato dell'Unione nei confronti di chiunque sia sospettato di aver commesso un fatto che per la legge del Paese di quel magistrato, ma non per quella dell'accusato, costituisca un reato.
La libertà di opinione e di pensiero che costituisce l'essenza della società occidentale moderna è la più grande sfida che il mondo islamico sia mai stato chiamato ad affrontare.

Purtroppo la sfida riguarda anche l'Europa che, ponendo continui limiti alla libertà di opinione in nome del rispetto di questo o di quel gruppo etnico, linguistico o religioso, di questo o quel principio, sta rischiando di tradire sé stessa.

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