L’Uruguay boccia l’italiano e il governo perde la lingua

Se Romano Prodi avesse infilato l’Uruguay nel suo viaggio sudamericano tra Brasile e Cile, avrebbe scoperto che non sempre chi s’assomiglia si piglia. Avrebbe scoperto che il suo governo, il più «progressista» nella storia d’Italia, s’è fatto beffare dal governo più progressista nella storia dell’Uruguay. Proprio nell’anno del bicentenario di Garibaldi, che a Montevideo è venerato come un eroe nazionale avendo l’uomo combattuto per quella Repubblica salvandone l’indipendenza, le autorità scolastiche uruguaiane hanno abolito l’obbligo di studiare la lingua italiana nel biennio umanistico e giuridico che precede l’Università (il cosiddetto «bachillerato»). Tale obbligo vigeva da ben sessant’anni, e anche simbolicamente riconosceva un primato unico al mondo per l’Italia: quello di sapere che la lingua di Dante veniva considerata materia essenziale nell’ambito dell’insegnamento pubblico di un Paese che sta dall’altra parte dell’Oceano, e che tra l’altro parla spagnolo. Ma è un Paese nel quale quasi la metà dei tre milioni e trecentomila abitanti è d’origine italiana. E dove ancora oggi vivono settantamila italiani. Non basta. Quattro ministri dell’esecutivo hanno il passaporto italiano, e la maggioranza dei rappresentanti dell’esecutivo è a sua volta «oriunda».
Tutto ciò sarebbe stato sufficiente per risolvere in tre minuti un problema che neppure doveva sorgere. Invece alla ripresa delle lezioni, che in Sudamerica è avvenuta in questi giorni, l’amara conferma: nel primo dei due anni di studi previsti, l’italiano non è più obbligatorio. Nonostante le assicurazioni in senso contrario di rappresentanti del governo dell’Uruguay, tra i quali il ministro della Cultura, e a sua volta oriundo italiano, Jorge Brovetto. Perché è successo? Perché l’Italia s’è limitata a «chiedere» che ciò non avvenisse, e a chiederlo in modo timido e occasionale, anziché porre una questione politico-istituzionale. Il risultato di questa mancata trattativa, l’effetto della superficialità con cui esponenti della maggioranza e del governo italiano si sono mossi è che le autorità di Montevideo hanno preso la questione sottogamba. Li hanno ascoltati, certo, li hanno rassicurati naturalmente ma, alla fine, hanno fatto finta di niente. Ma il governo italiano non protesta, non corre ai ripari. Sarebbe ancora in tempo a farlo, visto che del biennio di studi hanno abrogato l’obbligo per il primo anno, e con una seria iniziativa politica della Farnesina potrebbero ripristinarlo, anziché abolirlo per sempre anche per il secondo anno di frequenza. Il governo neppure si premura di ricordare, di passaggio, il sostegno economico eccezionale che anche nel campo dell’istruzione Roma riconosce a Montevideo. Forza, presidente Prodi: almeno una telefonatina a Vázquez dopo gli incontri col signor Lula e con la signora Bachelet.
f.

guiglia@tiscali.it

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