Stile

L'ALTAROMA CHE NON

Anna Maria Greco

Agli inizi era haute couture e solo Parigi dettava le regole dell'eleganza. Ma poi l'Italia è riuscita a contestarne il primato e dell'alta moda ha fatto la sua bandiera d'eccellenza nel mondo. L'Italia e Roma, suo palcoscenico. Fino agli ultimi anni in cui, mentre Parigi faceva ancora fuochi d'artificio sulle passerelle, nella capitale era declino inarrestabile. Dei tanti grandi maestri che venivano a sfilare a Roma è rimasto solo il ricordo. Gli atelier nelle vie del lusso hanno chiuso, i vecchi sarti come Pino Lancetti, le Sorelle Fontana, Fausto Sarli, non sono stati sostituiti. I pochi giovani cresciuti nella loro ombra sono emigrati negli uffici stile di qualche famoso marchio, diventato internazionale o acquistato dai gruppi esteri, a Milano, a Parigi, altrove... «AltaRoma», il contenitore che doveva mantenere viva la cultura dell'abito unico e inimitabile che ispira la moda in ogni sua forma, ha cercato di farsi talent scout di nuove leve ma si è ridotta a laboratorio artigianale, palco per stilisti di media grandezza e studenti al saggio di scuola, cui manca l'esempio dei maestri. Anche i «sopravvissuti» dell'alta moda, una volta fedelissimi della manifestazione nella capitale, uno a uno gettano la spugna. E si rifugiano nel passato, autocelebrandosi in mostre degli archivi storici, in libri che ne ripercorrono la storia, in antologie che non guardano più al futuro. Oppure, virano verso il pret à porter.

É la fine? Lo abbiamo chiesto agli ultimi grandi stilisti, griffe che hanno fatto la storia dell'alta moda, che hanno animato le passerelle di Roma ma che ora, chi più chi meno, le disertano.

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