Cultura e Spettacoli

L'educazione sentimentale del giovane tennista diventa un romanzo

Prova di maturità per il giovanissimo Martino Gozzi del quale Feltrinelli pubblica «Giovani promesse». Un romanzo ambientato in una accademia tennistica americana. Il racconto e i suoi personaggi riportano d'attualità la stagione minimalista della letteratura usa

L'America vista da qui è spesso un sogno, un miraggio. Altrettanto spesso, però, è un'invenzione. Perché il nostro immaginario è così aderente a miti e riti nati e irrobustitisi dall'altra parte dell'oceano che non risulta poi così improba come impresa quella di reinventare la frontiera americana a nostro uso e consumo. Ed è per questo che quando ci troviamo davanti un autore italiano e il suo racconto di «ambientazione» statunitense la prima nostra preoccupazione è stabilire se si tratti di mimetismo o di realismo degno di fiducia.
Nel caso di Martino Gozzi, il ritratto dell'America di provincia che emerge dalle pagine del suo secondo romanzo «Giovani promesse» (Feltrinelli) è vivido e convincente. E quasi potremmo usare le stesse parole che Enzo Siciliano adottò per recensire il debutto letterario di Gozzi nel 2004 («Una volta Mia», Pequod editore). «Conosco alcuni giovani artisti, scrittori, narratori - scriveva Siciliano - che, per ragioni diverse, facendo la spola fra Stati Uniti e Italia hanno poi radicato la propria immaginazione laggiù. Mi chiedo perché. Si tratta di semplice mimetismo, di un incantamento che la giovinezza può subire facilmente, per un mondo che sembra fatto a misura di essa: o si tratta di qualcosa di più profondo?».
«L'America di Gozzi - conclude il critico scomparso due anni dopo, nel 2006 - non è un'invenzione metaforica. È del tutto reale». Stesso discorso, dunque, per questa nuova opera. «Giovani promesse» racconta l'educazione sentimentale ed esistenziale di un talentuoso tennista di casa nostra che vince una borsa di studio per una di quelle famose «accademie» a stelle a strisce che tanti campioni sono riuscite ad allevare nell'ultimo quarto di secolo (da Agassi a Courier, solo per citare i più noti).
Il giovane Emiliano, questo il nome del protagonista, lascia quindi la solidità di un ambiente familiare povero di emozioni ma decisamente rassicurante per un anno di formazione in un centro specializzato per «giovani promesse» del tennis. E lascia anche la fidanzata Bianca, con la quale ha appena varcato la soglia dei più segreti piaceri del sesso. Insomma, sembra non avere alcuna ragione per accettare l'invito dell'accademia americana, visto oltretutto che non è preso dal sacro fuoco dell'ambizione agonistica. Eppure accetta il suo destino quasi con la stessa rassegnata malinconia di un agnello sacrificale.
L'America si rivela per il ragazzo italiano un utile banco di prova dove testare sentimenti e ambizioni. Nel programma dell'Accademia di tennis ci sono anche i tradizionali corsi scolastici che, agli occhi di un aspirante tennista professionista, possono rivelarsi più utili del previsto. Ed ecco che le lezioni di letteratura inglese diventano dei veri propri training mentali per il «giocatore» perfetto. Mentre il professor Berkman spiega la filosofia deterministica sottesa ai racconti di Jack London, il giovane Emiliano riflette su come una simile scoperta possa tradursi nella sua vita tennistica: «In qualsiasi torneo, ciascun partecipante, se voleva sopravvivere, era costretto a eliminare gli avversari diretti, in una vera e propria selezione naturale. Non era una novità. Ma non avevo mai pensato che gli atti irriflessi, istintuali, potessero costituire un vantaggio rispetto alla capacità di leggere una situazione».
Il tennis però è anche una metafora della vita (e come poteva essere diversamente?). E in questo senso - ma solo in questo - il racconto può far ritornare alla mente il monumentale «Infinite Jest» di David Forster Wallace (lo scrittore americano che si è tolto la vita l'estate scorsa). In quel caso ci trovavamo di fronte a un romanzo monstrum e post-moderno alla Pinchon, dove al centro di tutto c'era proprio una scuola per tennisti. Gozzi, però, sceglie una prospettiva minimalista per osservare e analizzare il mondo che lo circonda. E proprio ai «padri» del minimalismo fa pensare «Giovani promesse». A quei John Cheever e Raymond Carver che tanta narrativa americana (e non solo) hanno influenzato. Forse la qualità migliore di questo romanzo è proprio nel sembrare un'opera tradotta dall'americano. Questo, però, potrebbe risultare anche il suo limite maggiore.

Il tempo e le future prove ci diranno da che parte penderà la bilancia (per il momento perfettamente in equilibrio).

Commenti