Controcultura

Il Leicester di carta Perdenti che vincono nella nostra fantasia

Nei romanzi i giocatori sono quasi sempre buoni a nulla. Da Soriano a Benni, da Bolaño a Vázquez Montalbán, ecco come la letteratura racconta gli eroi inaspettati sul campo

Ribelli, sognatori e fuggitivi. Sarà, ma l'unica certezza è che la squadra dei sogni è fatta di sfigati. Perdenti cronici, disadattati fissi, piedi di legno. Il meglio del peggio. Gli undici giocatori più romanzati della letteratura (almeno secondo noi...), sono nella realtà una squadra all'incontrario, che gioca sul lato sinistro della vita, nella Cialtron League del calcio, sudamericani, britannici, ma anche italiani, polacchi, apolidi, senzaterra. Difficile metterli in campo con criterio visto che giocano ognun per sé e dio per tutti, o ad minchiam, come diceva il professor Scoglio che alle lettere faceva sempre attenzione. Ma è meglio stare all'occhio perché sono il Leicester della letteratura: buoni a nulla, ma capaci di tutto.

PORTIERE El Gato Díaz di Osvaldo Soriano, che per il promesso, ma mai corrisposto, amore della rubia Ferreira, la ragazza più bella del paese, para Il rigore più lungo del mondo, rimasto in sospeso come un caffè per una settimana, trasformandolo in un piccolo capolavoro: «Il tiro arrivò a sinistra e El Gato Díaz si buttò nella stessa direzione con un'eleganza e una sicurezza che non mostrò mai più. Constante Gauna alzò gli occhi al cielo e cominciò a piangere. Noi saltammo giù dal muretto e andammo a guardare da vicino Díaz, il vecchio, che rimirava il pallone che aveva tra le mani come se avesse estratto la pallina vincente alla lotteria». Il derelitto che diventa ombelico del mondo per un attimo atteso una vita. Eterno come Buffon.

TERZINI Pelé Finezza che gioca a destra nella Compagnia dei Celestini di Stefano Benni, con il fratello Didì, mamma operaia gommista e papà ciabattino, che a tre anni, sul terrazzo del condominio, spazzò via il Real Marialuisa, la squadra dei figli della portinaia, per sette a zero: «Si favoleggiava che il più bravo dei due, Pelé, fosse una volta andato in gol dribblando 160 volte lo stesso giocatore, poiché il campo era circolare e che Didí riuscisse, durante una partita in cortile a segnare con una punizione a effetto attraverso le finestre di una casa». A sinistra Cognome e nome: Weiser Davidek di Pawell Huelle, un ragazzino ebreo che interpreta le nuvole, libera le farfalle, ribalta da solo partite perdute e poi scompare nel nulla, librerie comprese «perché lui può tutto». Il classico nerd che quando le squadre nei campetti si facevano a bim bum bam, lo sceglievi per ultimo e lo tenevi lontano dal pallone. E poi ti risolveva la partita.

CENTRALI Pancho Gonzales, uscito da Orlando el sucio di Soriano, uno che «sapeva tirare fuori musica da un pallone, però non segnava per paura che non gliela restituissero». Argentino e veneziano. Poi lo svagato Matt di Fuori area, firmato James Miller: «Aveva il suo ruolo, difensore centrale, che praticamente significava stare il più lontano possibile dalla palla». Palla che però un giorno arriva, decisiva, davanti alla porta sguarnita, il portiere distratto, è l'occasione della vita ma «il piede mancò il pallone, la scarpetta volò via, spinta dalla potenza del tiro, e si infilò in rete. Il pallone non si mosse». Cose che nella vita capitano a tutti.

CENTROCAMPISTI Una vita da mediano, anche se gioca centravanti, è quella di Buba di Putas Asesinas di Roberto Bolaño, strano come il calcio: «Io non ho mai avuto paura di Buba. A volte, mentre vedevamo la televisione nel nostro appartamento prima di andare a dormire, restavo a guardarlo con la coda dell'occhio e pensavo quanto fosse strana tutta quella situazione. Ma non è che ci pensassi troppo spesso. Il calcio è strano». Poi Anselmo di Maracanà, addio di Edilberto Coutinho: «Nello stadio vuoto dribbla (ma non si capisce chi), perfora la difesa (dove non c'è nessuno), tira (senza palla), fa gol. E l'atteso silenzio finalmente esplode». Fantasia al potere come Goyo Luna, di Cuentos de fútbol, autore Augusto Roa Bastos. «Goyo Luna era un po' folle. Ma era felice nella sua follia, nella sua assoluta passione per il calcio. Era un microcosmo in equilibrio su due piedi a papera e due mani palmate che gli permettevano di pattinare, planare, volare, fare volteggi per evitare contrasti duri e uscire vincente dalle mischie». Solo uno però gioca da dio: San Piè di Leone, creatura di Achille Campanile. In una partita tra i campioni dell'Uruguay e il Pontesullago, paesino di cui è patrono ma che non lo celebra mai, viene invocato il suo miracoloso intervento. Il santo medievale cala così invisibile sul campo e ignaro di ogni regola assesta pedate agli uruguaiani e all'arbitro, per poi scaraventare il pallone in rete: Pontesullago campione del mondo. Celestiale più della Celeste.

ATTACCANTI Al centro un classico. Alberto Palacin, Il centravanti è stato assassinato verso sera di Vázquez Montalbán. «Il centravanti vide l'intera porta per sé e il portiere gli sembrò un'impotente meschina maschera d'argilla che doveva maciullare con un colpo di punta, per batterlo o per ucciderlo. Il pallone uscì ferito gravemente e quando urtò la rete avversaria la sollevò come una gonna, come i migliori venti sollevano le gonne alle ragazze in fiore». Al suo fianco Experancio Esposito, l'Eroe di Undici racconti sul calcio, figlio di Camilo José Cela: «È guercio e sfoggia al posto della mano un uncino di ferro e dietro il suo fiero aspetto nasconde un animo di docile farfalla. È l'eroe dei tifosi dell'ospizio che sono gli zoppi, i monchi e i paralitici dell'ospizio e di suor Catalina che gli prepara punch e uova sbattute (con molto zucchero) perché colpisca la palla meglio e con più mira».

MMV

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