Cultura e Spettacoli

La letteratura presa a cazzotti

«Ho voglia di te», seguito di «Tre metri sopra il cielo», propone lo stesso immoralismo ed estetica di plastica, esaltando la ferocia degli adolescenti

Negli anni ’50 la collina Fleming, sulla quale sorge oggi uno dei più ambiti quartieri residenziali di Roma, era ancora spoglia di edifici. Pare che i terreni appartenessero ad uno dei produttori della Titanus, Lombardo, il quale li vendette per finanziare Il Gattopardo di Visconti. Era quello l’unico modo per avere nel cast i grandi divi del tempo, Alain Delon, Burt Lancaster, ma anche per venire a capo dei costi delle comparse, dei costumi e delle scene che nei film di Visconti erano sempre notevoli. Proprio su quella collina, per la precisione davanti al bar Fleming, è ambientata la prima scena importante di un romanzo che ha costituito uno dei fenomeni editoriali, ma anche di costume, più rilevanti degli ultimi anni, Tre metri sopra il cielo. È l’episodio in cui il protagonista, trasformato da un buon numero di sessioni in palestra, rende la pariglia al tipo che alcuni mesi prima l’aveva picchiato e scaraventato contro la saracinesca del bar.
La storia del successo di Tre metri sopra il cielo è nota. L’autore, Federico Moccia, lo scrive intorno al 1992. Il libro passa di mano in mano, prima in fotocopia, poi stampato a spese dell’autore e a poco a poco diventa un oggetto di culto nei licei. Il vero salto arriva però quando Feltrinelli decide di acquistarne i diritti. Da lì in poi i successi si susseguono: un milione di copie vendute, un diario scolastico, un film non ignobile tratto dal romanzo, un blog frequentatissimo e come se tutto ciò non bastasse anche un seguito che esce oggi nelle librerie, Ho voglia di te (Feltrinelli, pagg. 413, euro 16) perfettamente omogeneo al suo predecessore per stile, temi e personaggi.
La trama dei due romanzi è semplice. Un bellissimo diciottenne della Roma-bene, Step, è a capo di una banda di motociclisti che passa il tempo irrompendo nelle feste, provocando risse e rubacchiando qua e là. Tuttavia non è un teppista: è che ha subito un grave trauma. Un giorno, infatti, sorpresa la madre a letto con l’amante, si è abbandonato a quello che ritiene «un atto naturale: massacrare uno stronzo che ha violato il ventre della donna che mi ha generato». La donna che lo ha generato, però, è molto più evoluta di Step e si rifiuta di testimoniare il falso per tirarlo fuori dai guai quando il ragazzo viene chiamato in tribunale a difendersi dall’accusa di lesioni. Meglio, si sarà detta, prendere le distanze da un figlio dal bicipite tanto grosso e dal cervello tanto piccolo. Piantato in asso dalla madre, e con un padre cornuto, Step diventa dunque uno sbandato e chissà come finirebbe se un giorno non si innamorasse di Babi, una dolce fanciulla appartenente al medesimo ceto, che odia la violenza. Step la conquista ma la ragazza non riesce a cambiarlo, il trauma è troppo forte perché si possa curarlo con i baci e così, anche se quando fa l’amore con lei si sente tre metri sopra il cielo, continua a comportarsi male e alla fine la perde. Parte allora per New York e torna solo dopo due anni, ma il ricordo di Babi fatica a cancellarsi.
A differenza di Va’ dove ti porta il cuore, di Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire o di Io uccido, per Tre metri sopra il cielo non vi sono state levate di scudi, né proteste moralistiche né plateali rigetti della critica conditi da lazzi. La ragione del silenzio degli intellettuali forse è questa: i romanzi di Moccia non hanno bisogno di essere smascherati. Non bisogna alzare un dito, per vedere cosa nascondano; nessuna colta lente d’ingrandimento, nessuno strumentario è necessario per attingere alla loro essenza perché quell’essenza è sotto gli occhi di tutti ed è fatta di protervia, immoralismo da mentecatti, un’estetica da fotoromanzo e una sommaria sociologia che attribuisce ad un preciso gruppo sociale sia un livido e meschino snobismo di classe, sia impressionanti tratti di arcaicità.
La dolce Babi, questo fiore di ragazza, studia in una scuola privata all’uscita della quale «nessun ragazzo vende i libri. È una scuola troppo su perché anche l’ultima delle alunne compri un libro usato». In fila all’ingresso della discoteca osserva gli «errori» di chi non verrà fatto passare: «ha una spilla dorata a forma di sax, improbabile almeno quanto l’idea che lui sappia suonarlo. L’altro viene tradito dalle scarpe con piccola frangia in pelle. Sorpassa due sfigati venuti da lontano». Tutti «continuano ad aspettare in silenzio con quel mezzo sorriso che vale però una frase intera: “Noi non contiamo un cazzo”». Quanto a Step, nel nuovo come nel vecchio romanzo continua a menare le mani: «Lo colpisco di nuovo, di sinistro, dritto sopra il sopracciglio destro, di impatto pieno, preciso, sordo, con cattiveria. Si accascia a terra con un tonfo secco, non fa in tempo a muoversi che lo prendo d’incontro con un calcio in piena faccia».
Moccia è solidale con questo universo, anzi crediamo che il suo successo di scrittore sia basato in gran parte su un colpo di genio: sdoganare la spietata ferocia che regna tra gli adolescenti. L’ossessione per la forza, il denaro e la bellezza per la prima volta è esaltata, moltiplicata e soprattutto accolta in sé, senza metterla in relazione con ciò che forza denaro e bellezza sono per gli adulti. Da un punto di vista sociale la forza di Step lo condurrebbe in galera; allora la sua bellezza potrebbe dilettare un compagno di cella; il suo denaro svanirebbe in pochi giorni. Ma nel mondo degli adolescenti ciò non conta. Non pago di questa mossa sleale e mistificante, l’autore lascia credere che il mondo degli adulti sia lontano da quell’ossessione solo per ipocrisia. Per cui non c’è modo migliore di descrivere la posizione di Moccia che parlare di teppismo culturale. Non a caso chi ha adattato il romanzo per il grande schermo è stato costretto a trasformare lo scimmione Step in qualcosa di meno indigesto, in un ragazzo un po’ tormentato.

Che un milione di ragazzi abbia scelto lo Step del film come eroe può preoccupare tutt’al più qualche preside; ma che lo stesso milione abbia osannato lo Step del romanzo dovrebbe impensierire almeno i prefetti. Intanto, prepariamoci: perché non sarà facile spiegare ai giovani lettori dei due romanzi di Moccia che razza di viatico siano, certe pagine scritte a cuor leggero.

Commenti