Controcultura

"Forte e Chiara" La Francini si racconta demolendo i luoghi comuni dei "sinistri"

"Forte e Chiara" La Francini si racconta demolendo i luoghi comuni dei "sinistri"

Se non ci fosse, bisognerebbe inventarla Chiara Francini. Ironica, intelligente, libera, diretta, controcorrente e bella. Di quella beltà che sembra uscire dalle pitture del '500, donne e madonne. Ma la sua origine popolana, di cui va fiera, la rende solo apparentemente angelica, con quella cadenza fiorentina che si sente anche quando la leggi, perché lei sa bene come sono veramente le donne, «creature fatte del coraggio, della brutalità verso se stesse che hanno le madri di ogni specie, che sanno quanto l'amore profumi proprio perché è fatto di sangue, urla, umori, merda e sudore». Ah ecco, la merda; ci torneremo. Come per le tette. Attrice, prima in teatro poi al cinema (con Pieraccioni e Brizzi ma soprattutto nel bellissimo Un altro pianeta di Stefano Tummolini,) conduttrice tv lanciata da Marco Giusti e poi subito Stracult, scrittrice al quinto libro, da cui abbiamo tratto le frasi precedenti, Forte e Chiara. Un'autobiografia (Rizzoli), Chiara Francini compirà 44 anni il 20 dicembre prossimo, poco prima delle festività che lei celebra tutto l'anno da «adulta consapevole di avere tre alberi di Natale accesi in casa da quindici anni». Perché il mondo di Chiara è anche questo, «da paesana quale sono, casa mia è il mio specchio: gonfia, colorata e piena di lucine». Allo scorso Festival di Sanremo il suo monologo è stato il più celebrato e forse l'unico di cui si avrà memoria. Quello di una donna che parla al figlio non ancora nato mentre «tutti intorno a te cominciano a figliare!». Così «quando qualcuna ti dice che è incinta e tu non lo sei mai stata c'è come qualcosa che ti esplode dentro. Un buco che ti si apre, in mezzo agli organi vitali, una specie di paura, stordimento». In un Paese con una denatalità di cui non si vuole parlare, Chiara ha «il dubbio di aver sbagliato, di aver aspettato troppo, di essere una fallita». Perché alla fine, quando ti decidi, «magari il corpo ti fa il dito medio» e così «io da qualche parte penso di essere una donna di merda perché non so cucinare, perché non mi sono sposata e perché non ho avuto figli». E arriviamo al punto, Chiara Francini scrive quello che tutte pensano ma non dicono perché magari non si porta bene nei salotti. E non ha paura a farlo davanti a milioni di italiani nazional-popolari. Come non teme gli strali dei soliti benpensanti quando, nella sua autobiografica, che come un film di Virzì poteva anche intitolarsi Chiara va in città, ossia da Campi Bisanzio (che meraviglia l'educazione della nonna Orlanda, soprannominata «Furiosa», anche a colpi di labbrate per una parolaccia) a Roma, si mette a raccontare dei Sinistri (la maiuscola è sua) «a cui non frega assolutamente nulla del comunismo, di Berlinguer, degli operai, del lavoro, dei diritti, del teatro, delle minoranze, della cultura come strumento rivoluzionario di rivendicazione, non gliene frega assolutamente niente. A loro interessa solo apparire di sinistra e quindi dalla parte del giusto. Sinistra è un termine che hanno profondamente risemantizzato». Lo ha scritto e ripetuto pure davanti alla figlia di Berlinguer, a Carta Bianca, con Bianca, appunto, che se la ride di gusto quando Chiara inizia a dire che i «Sinistri sono delle persone nate ricche, borghesi, che vorrebbero essere poveri per sembrare intelligenti». Per poi rigirare il coltello nella piaga: «Sono così ossessionati dall'apparire pauperistici che, pur abitando in palazzetti con dei Botero attaccati ai muri, spesso dormono nelle dépendance della servitù. Sentendosi poeti maledetti. Con le boiserie anche nel culo». Amen. Sembra di stare sulla terrazza della Grande bellezza di Sorrentino con Jep Gambardella che smaschera l'egocentrica scrittrice radical chic: «I tuoi figli stanno sempre senza di te: pure durante le vacanze, lunghe, che ti concedi, poi hai per la precisione un maggiordomo, un cameriere, un cuoco, un autista che accompagna i ragazzi a scuola, tre baby-sitter... Ma insomma, come e quando si manifesta il tuo sacrificio?». Che poi, nella lettura filologica di Chiara, questi sarebbero i Sinistri «puliti» perché poi ci sono anche i «sudici» che non si lavano apposta e che «girano sempre col kit avvolto in contenitori in cui vivono le epatiti di tutto l'alfabeto , fatto di cartine, filtrini, accendino e poi, dopo essersi rullati la sigaretta, si tolgono i fili di tabacco dalla bocca come dopo un cunnilingus anni Ottanta». Ehm... Ma spostiamoci di poco e torniamo al culo (che hanno avuto i Sinistri per nascere tali), alla merda e alle tette (che lei chiama «le mie volitive»). Chiara per fare cinema ha provato «a mortificare seni e colori, per sembrare autorale nel senso di seria, triste e cupa per la cultura e trasparente, capace cioè di non dare fastidio, di non essere vista, di stare a servizio, come un pitale umano portatile». Ma, ovviamente, da «provinciale sanguigna, non ci stavo dentro. In nulla. Da sempre sono stata fuori». E allora nel suo libro cita pure Oriana Fallaci (oltre a Calamandrei) per cui essere donna «è un'avventura che richiede un tale coraggio, una sfida che non annoia mai». E Chiara annota: «Pensateci. Le avventure sono proprio questo: cadere nelle paludi, sfuggire ai calabroni, ai serpenti, alle belve feroci, ma anche avere la possibilità di cacare in maniera sublime all'aria aperta» dato che «la merda, come la morte e i buffet, è giusta: perché ci rende tutti uguali». Ecco Chiara Francini in purezza, «Chiara la Bona», «Centrale del Latte», come la chiamavano a scuola i compagni «nonostante fossi parsimoniosa di colloqui nella zona pelvica», mentre la prof di matematica evviva la solidarietà femminile! l'apostrofava con il classico: «Francini, non devi chiedere scusa a me, ma a te stessa. Per la tua stupidità». Chiara, che nella sua vita ha mangiato «parecchio pan con l'unto che mi aggrada da sempre», sa bene, proprio come tutte le Chiara di paese, «di essere una sudicia se mi fossi fatta toccare le poppe prima della quarta uscita. Per noi bambine non ci sono mezze misure: o sei zozza o sei immacolata». Ma non se ne fa certo un cruccio in tempi di #metoo. Perché Chiara la sua femminilità sa bene come portarla anche perché «la rivoluzione, cucciolotte, non è mostrare la ricrescita. È essere credibili anche con la tinta».

E con le tette.

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