Definire una persona dalle esperienze della vita è qualcosa di non sempre semplice; farlo per Vittorio Vaccaro è forse ancora più complicato. È uno chef, ma anche un attore, ha scritto sceneggiature, conduce programmi di cucina e scrive articoli. Un mondo il suo molto variegato, fatto di stimoli e grande curiosità, la stessa che nella vita ti porta sempre ad andare avanti e a sperimentare. Non soltanto per scoprire nuovi stimoli, ma anche ad alzare l'asticella delle proprie sfide personali.
Il punto di arrivo, ma parlando di Vaccaro può essere considerato quello di ripartenza, è un libro La cucina è il teatro della vita (Gilardi Editore), scritto quasi per caso, che racchiude il suo essere, anche quello più privato di papà di una famiglia allargata, dove al centro di tutto c'è il cibo.
Il libro è un'insieme di racconti ed esperienze vissute, di ricette che mescolano e uniscono molti temi: la famiglia, l’educazione dei figli, la separazione, la divisione dei ruoli e le responsabilità tra uomo e donna, la genitorialità e il superamento degli stereotipi di genere.
"In cucina litighiamo, mangiamo, facciamo l’amore, ridiamo, sperimentiamo, ci incazziamo, ci separiamo, facciamo la pace, ci confessiamo, cuciniamo, cresciamo, studiamo, lavoriamo, scriviamo. In pratica ho sempre sostenuto che è il teatro della vita”, spiega l'autore, che nel frattempo si sta preparando per una nuova sfida, questa volta sportiva, che lo vedrà alle prese con un incontro di boxe.
La cosa che di lei salta sicuramente all'occhio, è la sua voglia di sperimentare e la sua curiosità, ma anche un profondo legame alle sue origini.
"Noi ci portiamo dietro almeno una generazione di valori che si sono formati dalle scuole e dai luoghi in cui abbiamo vissuto. Il mio è stato un bellissimo bagaglio sotto questo punto di vista. Si tratta di cose semplici che forse non ho compreso appieno quando ero giovane, ma che ho poi apprezzato nella quotidianità dell'età adulta, nel lavoro e nella famiglia che mi sono creato. Queste cose me le porto sempre dietro e sono per me un grande arricchimento".
Tornando un po' indietro a quando abitava nella sua Sicilia, aveva una visione del suo futuro, di quello che voleva fare da grande?
"La Sicilia è una terra meravigliosa, ricca, ma allo stesso tempo 'riccamente povera'. Vivevo in un paesino piccolissimo ed ero un ragazzino pieno di aspettative. Lì c'era poco da fare se non giocare a calcio per la strada, inventarsi giochi con gli amici o aspettare che succedesse qualcosa. Spesso era la noia la compagna delle mie giornate e la cosa che sognavo di fare, anche se non sapevo esattamente come, era diventare regista o comunque lavorare nel mondo dello spettacolo. Avevo però una certezza quella che non avrei mai fatto il lavoro dei miei genitori".
Cosa facevano?
"Lavoravano nel mondo del food, che pensando a quello che faccio oggi fa un po' sorridere. Avevano una bar pasticceria e rosticceria e io sono cresciuto in quel mondo, senza capirne all'epoca il valore. D'altronde i figli vedono i genitori come eroi solo fino ad una certa età, poi con l'adolescenza cominciano a ribellarsi e a dire di no. Solo dopo ho scoperto che quello che loro hanno fatto, magari facendoci mancare la loro presenza, era qualcosa necessario che ora apprezzo. Erano sempre al lavoro, ma quel loro sacrificio dava a noi figli la forza e un posto sicuro, insegnandoci indirettamente la responsabilità di avere una famiglia".
Poi ha poi deciso di lasciare la Sicilia
"Sono sempre stato un ragazzo che scalpitava e aveva la necessità di raccontarsi attraverso le cose che faceva. Non era una questione di ego, ma un discorso di visione delle cose. Ho iniziato un po' come tutti a lavorare nei villaggi vacanza e da lì è nata anche la mia passione per la cucina, perché stando lontano da casa sei costretto a pensare a te. Questo però mi ha anche portato a guardare a quel "bagaglio" che mi ero portato dietro e che mi avevano insegnato i miei genitori che lo facevano per mestiere".
Qualcosa presente nel suo dna
"Sicuramente, ma poi ho iniziato a sperimentare, invitavo gli amici a provare le mie ricette, a volte chiamavo mia madre quando avevo dei dubbi. Sono sempre stato un curioso e anche ora quando nella vita vedo un terreno fertile mi impegno al massimo. Parlando di cucina, ho studiato molto, ho preso lezioni da chef giapponesi che mi hanno regalato una nuova visione della mia modalità tradizionale di cucinare. Credo siano queste le cose che fanno crescere nella vita".
Come hanno preso i suoi genitori questo suo voler andare via?
"Sono molto orgogliosi del mio percorso, all'inizio ovviamente pensavano che era un mio modo di sperimentare e che poi sarei tornato, ma alla fine hanno compreso. Mi viene sempre in mente un episodio di quando ero ragazzo e vinsi un concorso canoro. Mia zia era felicissima e diceva a tutti che ero un vero talento, mentre mio padre minimizzava. Questa era una cosa che mi faceva infuriare, perché sentivo che non mi dava la giusta considerazione, poi però ho capito che era un modo per non farmi montare la testa. Oggi come genitori siamo portati sempre a considerare i nostri figli una sorta di geni. Se fa un gol diventerà Ronaldo, ma non è così, e quello è stato un ulteriore insegnamento che mi è poi servito quando sono diventato padre".
Perché ha deciso di scrivere questo libro che, partendo dalla cucina, riunisce la sua vita?
"La cucina, come scrivo, è il cuore della famiglia e degli amici, perché è lì che si fa veramente di tutto. Il cibo è veramente un collante della società, soprattutto per noi italiani. Si cresce in cucina, si riuniscono a tavola i figli e la famiglia. Parlando personalmente tutte le mie esperienze più belle e importanti sono state fatte a tavola comprese le decisioni lavorative. La decisione di scriverlo è nata invece per caso. Avevo appuntato alcuni capitoli su temi che conoscevo bene, come essere il papà in una famiglia allargata, con tutte le dinamiche che ne conseguivano, poi invece mi sono ritrovato capitolo dopo capitolo a raccontare anche in modo indiretto le miei esperienze e per farlo ho rivolto lo sguardo al mio passato rendendomi conto che somigliava a quello di molte persone e che queste potevano ritrovarsi nei miei racconti.
I pranzi la domenica con la nonna, le polpette che faceva, sono miei ricordi, ma simili a quelli di molti altri. All'inizio ho avuto anche il timore di essermi troppo esposto, e che magari queste cose non potessero interessare la gente, ma queste similitudini alla vita di molti altri, mi ha fatto passare questa paura. Ricordo ancora quando l'editore lo ha letto e mi ha detto: 'Questo lo pubblico immediatamente'".
Una parte importante del libro è sicuramente quella del racconto della sua famiglia allargata; è stato difficile portare in questa i valori della sua d'origine?
"Sia io che la mia compagna veniamo da famiglie che hanno valori simili e ci siamo molto ritrovati in questo. Poteva essere un rischio, non era semplice ma la cosa che ci ha aiutato molto è stato il confronto continuo che facciamo tra di noi e con i ragazzi. Può capitare che ci si offende, che si discute o si cambia idea ma questo serve a confrontarci. Sono cresciuto molto come papà grazie alla presenza femminile di una mamma separata che conosceva bene certe dinamiche. Come io da padre separato le conosco. E questo è fondamentale".
Tra le tante cose che ha fatto c'è qualcosa che le è piaciuto particolarmente?
"Sicuramente la cucina, che è un ricordo, una linea continua e anche una base della mia vita che mi accompagna fin da quando avevo 4 anni. Per me mangiare anche un semplice panino significa sperimentare. Lo faccio provando gusti e sapori diversi. Anche essere stato un attore o aver scritto sceneggiature è qualcosa che mi è piaciuto molto e alla fine ho compreso che tutte queste cose avevano un filo comune, quello di mettere in campo il mio essere un uomo di spettacolo. Anche nel libro ad esempio ho creato uno storytellers. Parla di food ma non racconto solo ricette, intorno a queste c'è una storia che coinvolge la mia vita. Nella mia mente sono percorsi simili a film".
Una persona sempre in movimento come lei, quale altre sfide vuole affrontare?
"Mi sto preparando per fare un incontro di box.
Lo sport è qualcosa che ho sempre amato e che mi fa stare bene fisicamente, per questo voglio affrontare questo nuovo percorso. Come le altre ci sto mettendo tanto impegno perché solo così riesco a sentirmi vivo e a superare i miei limiti oltre che, ovviamene, a continuare a sperimentare".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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