L'Europa prigioniera dei "puritani" dell'ambientalismo

Nel 1969 l'economia del nostro pianeta valeva 2 trilioni di dollari, ora stiamo veleggiando verso 100 trilioni. Il nostro pianeta non può sopportare molto a lungo i consumi che sono la ragione di quei 100 trilioni. Non è solo un problema etico o ambientale, è un problema semplicemente matematico

L'Europa prigioniera dei "puritani" dell'ambientalismo

Con le elezioni europee alle porte diviene sempre più evidente la non realizzabilità della transizion energetica ultra rapida imposta dall'attuale Commissione di Bruxelles. Dovremmo però anzitutto ammettere di aver lasciato L'Europa in mano a infervorati del verde con la possibilità di imporre norme nel nome di un ambientalismo punitivo, spesso scatenando una vera catechesi dei sensi di colpa con la complicità dell'Onu, ma anche favorito l'esatazione del nulla scientifico alla Greta Thumberg. Zittiti da ondate di insulti quanti facevano appello alle leggi e alle unità di misura della fisica, puntualmente messe sotto il tappeto dall'ideologia politica verde, ora siamo alla resa dei conti: non è possibile realizzare quanto programmato nei tempi sognati dalla maggioranza Ursula e dal suo ispiratore Frans Timmemans. Eppure i segnali che fosse una strada difficilmente percorribile si stavano affacciando uno dopo l'altro. Basti citare la filiera e il mercato dell'automotive, sconvolti per la piega presa dagli eventi, con la Germania che per prima ha deciso di produrre meno auto elettriche. Oppure si pensi alla Gran Bretagna, che di recente ha dato via libera alle nuove licenze per l'esplorazione e lo sfruttamento di gas e petrolio nel Mare del Nord, seppure giustificate con l'indipendenza energetica da Putin. Non che i problemi ambientali vadano ignorati. Alcuni dati inducono a riflessioni profonde. Nel 1969 l'economia del nostro pianeta valeva 2 trilioni di dollari, 25 anni dopo valeva già 20 trilioni, nel 2007 i trilioni erano 60, ora stiamo veleggiando verso 100 trilioni. È evidente che il nostro pianeta non può sopportare molto a lungo i consumi che sono la ragione di quei 100 trilioni. Non è solo un problema etico o ambientale, è un problema semplicemente matematico.

«Il tempo a nostra disposizione non è molto - osserva Nino Tronchetti Provera, fondatore di Ambienta - è perciò importante cambiare il paradigma, continuare a crescere ma con quell'attenzione che ci potrà consentire di continuare a vivere sul nostro pianeta». Ambienta è una società di fondi che in 15 anni ha investito circa 3 miliardi in campioni ambientali, società che senza esasperare la loro missione stanno in modo inequivocabile sovraperformando la crescita dell'economia mondiale conquistano quote di mercato sia nel private sia nel public market. Possiamo dunque dire che indipendentemente dalle politiche, dai lobbisti, dal green washing e dalle fake news, i trend ambientali stanno ridefinendo le dinamiche competitive di tutti i settori.

Naturalmente preoccupa che la maggior parte dei ghiacciai europei non esisterà più entro la fine del secolo e che negli ultimi 24 mesi i ghiacciai svizzeri abbiano perso oltre il 10% della loro dimensione. Inoltre preoccupa che più del 50% delle piantagioni di caffè, cacao, banane e altro scomparirà prima del 2050 a causa del cambiamento climatico. Per non dire del krill, microscopico crostaceo simile a un gamberetto che sopravvive grazie al suo guscio - rappresenta la base della catena alimentare marina, il plancton - che potrebbe estinguersi in pochi decenni. Il museo di storia naturale di Londra ha trovato esemplari di krill d'inizio '800, e rispetto a quei campioni oggi il krill ha un guscio più sottile del 76%. Ebbene, l'acidificazione degli oceani lo ridurrà ulteriormente fino alla morte: senza il krill tutto è destinato a finire. Ciò detto, anche Tronchetti ammette che l'Europa con le sue leggi ha corso troppo, anche se per lui la «marcia indietro» dei governi su obiettivi e politiche Esg/impact se non gestita responsabilmente a questo punto può arrecare danni gravi.

«Questa retromarcia - spiega l'imprenditore milanese - è perché molti dei cosiddetti attori Esg/impact non stanno adottando un approccio di investimento autentico. È evidente - aggiunge - che gestire un'azienda in piena fase di transizione green non è facile, ma una cosa è essere Esg/compliant, ovvero il come, altro aspetto è il cosa». In altre parole è il cosa a incidere sull'economia reale, in cui il passaggio dagli ingredienti chimici a quelli naturali sta ridefinendo il settore del food & beverage, l'elettrificazione sta guidando la generazione di calore e raffreddamento, i prodotti chimici stanno andando verso quelli a base di acqua, gli imballaggi verso soluzioni con meno plastica. «Questi cambiamenti dei modelli di business non avvengono per ragioni di etica - osserva Tronchetti - ma perché sono più profittevoli».

E quindi? «Quindi sarà necessario puntare su governi che prendano decisioni coraggiose, che spingano l'economia circolare, che esaltino le virtù del risparmio degli elementi naturali, che diano il corretto valore ai vari fattori inquinanti. E che dicano alla gente che più che non prendere aerei o navi, bisognerebbe fare attenzione al riscaldamento e al raffreddamento delle nostre case: gli edifici producono emissioni che pesano 4 volte tanto.

Per non dire del settore del fashion, che inquina più di tutti i gas di scarico, e produce un terzo delle microplastiche che inquinano». Insomma, la strada è lunga, non bisogna correre ma tutti devono fare la loro parte.

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