Liste familiari, esclusi solo i Biagi

Pietro Mancini

Uno degli aspetti meno edificanti di questa campagna elettorale è, senza dubbio, l'emergere, soprattutto nel centrosinistra, di quelle che un commentatore progressista, ma non allineato con i vertici della coalizione del Professore, Giampaolo Pansa, ha, causticamente, definito le «candidature familiari». Dopo aver provveduto a sistemare, nelle liste dell'Unione, donna Anna Serafini in Fassino, l'ex ministro Bassanini e signora, la rutelliana Linda Lanzillotta, e aver trovato un ottimo posto anche a Chiara Boni, compagna dello stretto collaboratore di Prodi, Rovati, Rutelli e Fassino non si sono fermati. E - peraltro imitati dal verde Pecoraro Scanio, che ha imbarcato con i Verdi, al Senato, suo fratello Marco e dal governatore della Campania, Bassolino, che ha imposto la sua compagna, Anna Maria Carloni - i capi dei Ds e dei Dl hanno pensato pure alle vedove di alcuni galantuomini assassinati. Ecco, dunque, sistemata, nel Lazio, Olga D'Antona, che fu la moglie delllo stretto collaboratore, al ministero del Lavoro, di Bassolino, vittima del piombo brigatista. Mentre, in Calabria, sono state paracadutate le signore Anna Maria Fortugno e Rosa Calipari, vedove, rispettivamente, del consigliere regionale di Dl, ucciso a Locri dalla 'ndrangheta, e del dirigente del Sismi, colpito dal «fuoco amico» dei soldati Usa a Bagdad, per salvare la vita della giornalista del Manifesto che era stata rapita dai «coraggiosi compagni» - come li definisce il prossimo onorevole comunista Caruso - della «resistenza irachena». Candidature, soprattutto quella della Calipari, accolte con scarso entusiasmo dalla base diessina: «Con tutto il rispetto, una cosa assurda!», ha urlato l'ex sottosegretario ai Trasporti, Pino Soriero, prima di sbattere la porta in faccia alla Quercia e di essere accolto, a braccia aperte, da Tonino Di Pietro. Lasciato a casa, invece, dopo 3 legislature, da Rutelli, il figlio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Così solleciti nell'accudire, amorevolmente, alle esigenze delle mogli, compagne e vedove di personaggi illustri, Fassino, Rutelli e, soprattutto, Romano Prodi, che di Marco Biagi era amico e concittadino, hanno, tuttavia, completamente dimenticato i familiiari di Marco Biagi, di cui oggi ricorre il quarto anniversario della spietata esecuzione, eseguita e firmata dai sanguinari killer delle Brigate rosse. Una dimenticanza grave, sconcertante, deplorata, con accenti molto duri, anche da un candidato della Margherita, Antonio Polito, ex direttore del Riformista, che ha osservato: qualora l'eventuale nuovo governo ulivista decidesse di rigettare la legge, che porta il nome di Biagi, che collaborò alla stesura del testo con Maroni e Sacconi, ministro e sottosegretario al Welfare, tenderebbe «quasi a dar ragione alle belve, che ne hanno assssinato l'autore!».
Che il nome del professor Biagi, ancora oggi, e non solo a Bologna, venga considerato imbarazzante, quasi impronunciabile, soprattutto perché il giuslavorista aveva osato collaborare con l'«infame governo Berlusconi», lo hanno ammesso anche i social-radicali di Boselli e Bonino, che alle idee di Biagi hanno dedicato, a Roma, un convegno. «Nell'Unione - ha sostenuto Daniele Capezzone - piuttosto che parlare di legge Biagi, tutti, e in primis Prodi, la definiscono "legge 30"». Ma, purtroppo, le voci dei dirigenti della battagliera ma esile Rosa nel pugno, che oggi nel capoluogo emiliano ricorderanno il sacrificio del docente, sono isolate, nel centrosinistra. Lo stato maggiore unionista è, infatti, consapevole del fatto che commemorare in pompa magna Biagi, definendolo, come meriterebbe, un eroe moderno, provocherebbe la rottura, esplicita con i settori, ambigui e quelli sì «limacciosi», dell'estremismo, contiguo ai violenti di alcuni centri sociali, e del massimalismo. E costoro non intendono affatto fare autocritica sulle astiose sconfessioni di settori politici e della Cgil, del lavoro di un esperto, che, 4 anni fa, venne additato al pubblico ludibrio come un «prezzolato collaborazionista» dell'esecutivo di centrodestra. E, pertanto, gelido silenzio ufficiale dell'armata prodiana sulla ricorrenza dell'esecuzione del professore, che era un non violento. E, dunque, liste del centrosinistra sbarrate alla dignitosa vedova, signora Marina, e ai familiari di Biagi, mentre disco verde, da Bertinotti, alleato di Prodi, all'ingresso al Senato della Repubblica di Heidi Giuliani, mamma di Carlo, il giovane autonomo genovese.

Il quale morì, colpito da un carabiniere, mentre assaltava, con il volto coperto da un passamontagna, un automezzo delle forze dell'ordine al G8.

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