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"L'Italia è una grande potenza che non sa di esserlo"

Parag Khanna, consigliere di Barack Obama per la politica estera, parla degli attuali scenari internazionali. Dal Nobel a Obama al ruolo della Ue. L'ingresso della Turchia nell'Unione. Il carisma di Berlusconi. Il nucleare iraniano e il peso della Cina

"L'Italia è una grande potenza che non sa di esserlo"

Indiano di origini, poco più che trentenne, una moglie e una figlia. Ma soprattutto consulente e consigliere del presidente americano Barack Obama per la politica internazionale. Parag Khanna che si occupa di geopolitica dopo aver girato il mondo e con l'ambizione di continuare a girarlo, ha fatto tappa a Milano dove ha preso parte al convegno organizzato dalla Camera di commercio americana, sul tema «Nuovi equilibri globali nel XXI secolo» intervenendo sul ruolo della Cina, dell'Europa e sulle risultanze del G20 di Pittsburgh. Da vero giramondo Khanna ha le valigie pronte e, dopo 24 ore tutte italiane, volerà a Barcellona, dove terrà un'altra lezione sulle strategie politiche mondiali. Lo stesso tema trattato nel suo primo libro, «I tre imperi», di recente pubblicazione in Italia (Fazi editore, pp. 610, euro 22,50) ma tradotto in tutto il globo.

Cosa ne pensa del premio Nobel per la pace recentemente assegnato a Obama?
«Per lui è certamente un onore ma avrebbe avuto più significato e maggior importanza assegnarglielo tra 7-8 anni, alla fine della sua presidenza. Oggi è all'inizio e deve ancora fare molto. Forse è stato un piccolo errore, di solito è un premio prestigioso che si dà a chi ha già completato una missione. Lui stesso, credo, sarebbe stato felice di riceverlo più avanti. Obama ora non ne aveva bisogno e questo premio è sembrato più che altro un augurio nei suoi confronti, come se fosse il più grande presidente del mondo».

Come vede la guerra contro il terrorismo?
«Continuerà anche con Obama, che però di terrorismo non ha mai parlato apertamente. Le strategie verso le insidie dettate dalle regioni più critiche del mondo, talebani, Afghanistan, Pakistan non si fermeranno».

Eppure la storia dimostra che la democrazia non è un prodotto esportabile. È ancora necessario continuare a combattere?
«Non si vuole esportare la democrazia, ma creare buoni governi, allevare una classe di giudici equi, cercare di ristabilire condizioni vantaggiose di vita per tutti, tutelare un libero sistema di informazione. La democrazia arriva alla fine di questo percorso. Anche se non è semplice da completare».

Occorrono tempi molto lunghi.
«Ci vogliono anni ma è necessario iniziare. L'arma più efficace è il dialogo e la collaborazione e questo Obama lo sa. Recentemente l'Italia ha riallacciato un intenso e proficuo rapporto di cooperazione con la Libia, anche se nessuno può dire che quest'ultima sia effettivamente una democrazia. Quella del dialogo è l'unica vera strada per il cambiamento».

Però in Afghanistan è difficoltoso avviare relazioni politiche. In passato il regime comunista dell'Unione sovietica vi ha combattuto per anni uscendo sconfitta.
«Nessuno si illude di poter avviare relazioni politiche compiute con l'Afghanistan, gli obiettivi sono molto più modesti: sottrarre spazio e soprattutto egemonia allo strapotere dei talebani, limitare il raggio di azione di Al Qaeda. Obiettivi modesti ma di grande importanza per la sicurezza dell'Occidente».

Come vede il ruolo della Turchia, a metà strada sullo scacchiere mediorientale tra l'Islam e l'Unione europea?
«Io credo che la Turchia non entrerà mai nella Ue. Difficile dire se esistano le condizioni per questo passo, ritengo che nemmeno la stessa Turchia lo voglia. Sono convinto che il suo ruolo sia quello di partner strategico, un po' come la Gran Bretagna e forse la Russia in futuro. Fuori dalla Ue, ma allo stesso tempo vicinissima».

E questo scenario che vantaggi può portare all'Europa?
«Senza dubbio grandissimi. I condotti per il rifornimento di energia e gas, attraverso la Turchia, per arrivare fino ai paesi del Mediterraneo potranno rivelarsi il vero volano per Italia, Spagna, Francia, Grecia che avranno la possibilità di scegliere e alternare forme diverse di approvvigionamento energetico».

In questo contesto come vede il ruolo dell'Italia?
«L'Italia è una grande potenza industriale che deve prendere maggior consapevolezza del suo ruolo. Non è un piccolo Paese e ha grandi potenzialità di progettazione e crescita industriale per diventare una delle nazioni trainanti nell'ambito dell'Europa. Il made in Italy non è favola ma una realtà».

Qual è l'appeal dell'Italia vista dall'estero?
«L'Italia si identifica profondamente in Berlusconi. Il governo viene personalizzato con il suo leader, ma questo è normale, ovvio, scontato. E' anche giusto che sia così. Anche l'America si riconosce in Obama ma non da tutti Obama è amato. L'India, per esempio, preferiva Bush; ma questo fa parte delle regole del gioco. Berlusconi è un uomo di grande carisma nazionale e internazionale. Sulla scena italiana non vedo altri personaggi della sua caratura, quindi è giusto che si affidi a lui e faccia di lui la sua bandiera di rappresentanza».

Come vede la crisi economica mondiale: siamo realmente sulla via d'uscita?
«Sono convinto di sì, ma vanno fatte alcune distinzioni. La recente bufera ha reso determinante l'adozione di meccanismi studiati per avere una maggior sicurezza anche economica. E' certo però che come ritmo e tenore di vita, oggi in Europa si sta molto meglio che non negli Stati Uniti. Viaggiando e visitando le diverse realtà il divario è evidente. La qualità media di vita è innegabilmente migliore».

Come si può considerare oggi la Cina? È sufficiente definirla una nazione comunista che si è aperta al libero mercato?
«È sorprendente ma è così. Qualche mese fa il Financial times uscì con il titolo "La Cina sull'orlo del collasso". Naturalmente con il passare dei giorni ciò non si è rivelato vero. Oggi la Cina è una grande potenza che controbilancia l'Europa e gli Stati Uniti grazie all'apertura dei suoi mercati che apparentemente non si spiega con il governo e l'ideologia di Hu Jin Tao».

Quanto al nucleare, teme che l'Iran possa riservare preoccupazioni all'Occidente?
«Penso proprio di no. Il loro puntiglio sul nucleare sembra essere una freccia che vogliono al loro arco, ma non certamente per usarla.

Su questo penso si possa stare abbastanza tranquilli».

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