Serialità

L'ultratossico Berlino rivive nella serie nata dalla "Casa di Carta"

Il protagonista Pedro Alonso: "Il Dna del personaggio rimane, ma la trama è più luminosa, più leggera"

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Scordatevi La casa di carta, scordatevi la rapina come atto rivoluzionario con gli otto Robin Hood, con altrettanti soprannomi di città, che entrano nella Zecca di Stato nascosti da maschere inquietanti con il volto del pittore spagnolo Salvador Dalì. Scordatevi cioè il sangue, anche la violenza, insomma il lato più noir delle cinque stagioni della serie spagnola più famosa del mondo per entrare, con lo «spin-off» e il racconto del passato di uno dei suoi personaggi più iconici, Berlino, nella nuova omonima serie di Netflix disponibile dal 29 dicembre, creata sempre da Álex Pina e Esther Martínez Lobato, che ha tutto un altro sapore e tono, proprio da commedia romantica.

Ecco allora il personaggio interpretato da Pedro Alonso che rivive i suoi anni d'oro, il periodo in cui non sapeva ancora di essere malato e non era rimasto intrappolato all'interno della zecca spagnola, impegnato a organizzare una delle sue rapine letteralmente più fantastiche: far sparire gioielli per un valore di 44 milioni di euro grazie a una specie di trucco magico. Berlino dà il benvenuto a una nuova banda con i volti di Michelle Jenner che interpreta Keila, un genio dell'ingegneria elettronica; Tristán Ulloa nei panni di Damián, un professore filantropo e consigliere di Berlino; Begoña Vargas è Cameron, una ragazza impulsiva; Julio Peña Fernández dà vita al ruolo di Roi, fedele seguace di Berlino; Joel Sánchez è Bruce, instancabile uomo d'azione della banda. Ma, dalla Casa di carta, tornano Itziar Ituño e Najwa Nimri nei ruoli delle poliziotte Raquel Murillo e Alicia Sierra.

A Roma, per promuovere gli otto episodi della serie diretta da Albert Pintó, David Barrocal e Geoffrey Cowper, è arrivato il divo Pedro Alonso oggetto di un vero e proprio e letterale bagno di folla perché si è immerso nottetempo nella Fontana di Trevi, novello Mastroianni orfano però di una Anita Ekberg ma con tanto di benedizione del sindaco Roberto Gualtieri in persona: «Tra i miei miti cinematografici c'è proprio Mastroianni ma, girando Berlino, ho preso il covid e una polmonite, spero di non aver rischiato nella fontana», scherza l'attore, nato a Vigo, in Galizia, 52 anni fa, prima di farsi più serio: «Tanto tempo fa mi avevano parlato della possibilità di uno spin-off del mio personaggio ma poi c'è stata la pandemia. Alla fine ho detto subito di sì, perché abbiamo reinventato il personaggio, come se fosse Benjamin Button, trasformato all'indietro nel tempo e non più cupo e torbido. Certo rimane un uomo ultratossico, non presentabile, manipolatore, indifendibile, bugiardo, il peggiore del mondo. Ma il mio lavoro è affascinante per questo, mica devo fare il catechismo o il nuovo libro della morale, con lui condivido l'ironia dissacrante e un senso molto determinato di vivere il presente».

Effettivamente questo «nuovo» Berlino oltre che interessarsi ai furti è soprattutto uno scapolo impenitente molto attratto dal fascino femminile, ecco dunque spiegato il tono da inedita commedia romantica della serie, «una galassia completamente nuova spiega l'attore che si diletta anche a dipingere il Dna del personaggio resiste ma la chiave narrativa è differente, più luminosa. Nella Casa di carta poteva succedere che uno sparava e uno moriva mentre qui, complice la guerra in Ucraina, il momento difficile nel mondo, abbiamo deciso di prendere una strada più leggera. Così dalla rapina in stile anglosassone siamo passati a quella francese con il furto romantico che è quasi un illusionismo, uno spettacolo di magia».

Archiviata la canzone militante Bella ciao, in linea con il tono da commedia, Berlino avrà però un'altra grandissima hit italiana che potrebbe diventare ancora più globale di quello che già è, Felicità: «Sarà romantica, vitalissima e contagiosa. E pensare che io fino alla Casa di carta non avevo mai cantato in vita mia», rivela l'attore che, quando non gira serie per Netflix, tenta di «trovare un equilibrio, diversificando le mie attività, perché è facile essere travolti dalla marea della notorietà».

Così oltre a scrivere romanzi, ha diretto e prodotto un curioso documentario, La nave del encanto, «sulle medicine ancestrali degli indigeni sudamericani».

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