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Mameli vince sempre

«Fratelli d'Italia» è stato bistrattato e accusato di essere una marcetta. Eppure ha resistito e diventerà l'inno ufficiale della Repubblica. Sì, perché non lo è ancora...

Mameli vince sempre

«Teniamoci l'Inno di Mameli: e che Dio ce lo conservi. Mi coinvolge e mi commuove». È la voce di Riccardo Muti, qualche anno fa, in una delle volte in cui s'era infuocato il vecchio duello: l'Inno di Mameli o Va' pensiero di Giuseppe Verdi sul podio del canto della nazione tricolore?

Fatto suonare per la prima voltanella storia della prima Repubblica da Alcide De Gasperi nel 1946, da allora l'Inno, che non a caso non si chiama ancora d'Italia, ma viene definito con il nome del compositore del testo scritto, è provvisorio da ben 71 anni e veste una dignitosa regolarità de facto in base alla legge numero 222 del 23 novembre 2012. Eppure la sua ufficialità in quanto eco della nostra Patria non è ancora stata sancita secondo tutti i carismi di legge. Ma come mai, una canzone patriottica tanto criticata, dileggiata, accusata d'essere una marcetta, alla fine non solo resiste ma s'afferma sempre di più? In questi giorni due deputati, Umberto D'Ottavio del Pd e Gaetano Nastri di Fratelli d'Italia si battono affinché il Canto degli italiani venga ufficialmente approvato. La proposta di legge intitolata «Riconoscimento dell'Inno di Mameli Fratelli d'Italia quale inno ufficiale della Repubblica» ha avuto il consenso della commissione Affari costituzionali della Camera e ora deve passare in Senato.

COME SI È DESTA

«Mi auguro che il Senato pronunci il suo assenso prima della fine della legislatura, ponendo fine a una questione di provvisorietà che solo in Italia può esistere» commenta il deputato torinese Umberto D'Ottavio, che si è ascoltato ben 40 inni di altrettanti paesi diversi per arrivare alla conclusione che «il nostro è tra i migliori. Contiene tutti gli elementi di un buon patriottismo: il senso della vittoria, l'amore per la bandiera, l'impegno di arrivare fino alla morte pur di difendere la propria Patria». Per quanto riguarda l'aspetto musicale poi, secondo D'Ottavio, non è una marcetta, «ma una musica orecchiabile che piace a tutti, anche ai bambini, per cui contiene meriti adeguati per diventare finalmente ufficiale. Si pensi che quando nel 1946 Roosevelt ricevette De Gasperi, non sapendo quale canto far suonare per accoglierlo, optò per 'O sole mio!».

Anche in questa circostanza del dibattito in commissione alla Camera c'è chi si è levato contro l'inno di Mameli e ha proposto un concorso nazionale per scriverne uno di nuovo, ma Goffredo non cede: nota dopo nota, come chiodo dopo chiodo, pare arrivare alla cima. È un roccia.

Pare che dopo 71 anni finalmente «L'Italia s'è desta» e non sia più «schiava» di pregiudizi e di quelle divisioni che fanno del nostro un «non» popolo, come l'inno stesso nelle sue strofe recita. Tutti lo criticano, nessuno lo vuole, ma alla fine Fratelli d'Italia avrà probabilmente la sua guadagnata posizione d'onore a tutti gli effetti, facendo contenti i fratelli e si spera anche le sorelle, nonostante l'unica strofa dedicata alle donne sia stata tolta. Nella prima versione era presente, ma poi fu cancellata da Mameli stesso. La strofa recitava: «Tessete o fanciulle / bandiere e coccarde / fan l'alme gagliarde / l'invito d'amor» .

FRA MOZART E HAYDN

Ma quali sono alla fine i pregiudizi? Paolo Petronio, triestino, musicologo ha pubblicato un libro Gli inni nazionali del mondo con l'editore Zecchini. «L'inno è sempre stato legato agli ideali repubblicani di Giuseppe Mazzini. Quando nel 1870 nacque la Repubblica romana e il Papa perdette la sovranità della Chiesa, il Canto degli italiani risuonò, così il governo della Repubblica per non offendere il Papa dichiarò l'inno "provvisorio" e da allora l'inno di Michele Novaro, l'autore delle musiche, perché Mameli compose le parole, tale rimase». Quasi a conferma di questo fatto, in effetti, nei giorni scorsi le perplessità erano arrivate da alcune forze cattoliche.

Intanto questa balda, orecchiabile, romantica marcetta, lì, sola, in mezzo a tante canzonette, è riuscita a diventare il simbolo della forza di connessione di un popolo non così facile a connettersi, a fare rete umana concorde e intonata; è resistita, costruendosi una sua storia, un suo passato, un suo emotivo simbolismo, si pensi alle tante nazionali di calcio che la cantano con la mano sul cuore in sfide mondiali. «Conosco gli inni di tutto il mondo e se dovessi stilare una graduatoria di bellezza direi che il nostro sta a metà. Nella media generale è un buon inno. Ovvio che se lo confrontiamo con quello tedesco scritto da Haydn, o con quello austriaco scritto da Mozart, a livello musicale non arriva a tali altezze, ma c'è una cosa da dire: quegli inni sono rigidi, rispecchiano i loro popoli. Il nostro è allegro e godibile, esemplificando il carattere vero degli italiani. Per questo è il nostro inno a tutti gli effetti ed è difficile da sostituire. Ha una caratteristica che pochi inni al mondo hanno: cambia tonalità: una parte in si bemolle maggiore, un allegro marziale, e un'altra in mi bemolle maggiore, un allegro mosso».

NOI E I POLACCHI

Allegro, mosso, come un buon vino, come il sangue del popolo italiano e del popolo polacco. Ma cosa c'entrano i polacchi qualcuno potrebbe dire? «Per uno di quei casi strani del destino i polacchi sono citati nell'inno degli italiani e gli italiani sono altrettanto citati nell'inno dei polacchi. È un fatto molto curioso che due popoli, indipendentemente dalle loro volontà, si scambino una cortesia simile. Non vi è dubbio che questo Canto degli italiani fin dalle origini abbia manifestato alcune singolarità che lo rendono simpatico, unico. E poi, cosa avremmo dovuto prendere come nostro inno? Forse la Marcia Reale? Be', a suo confronto, Novaro è Beethoven, senza alcun dubbio».

Fratelli d'Italia, allora, come Novaro volle, cancellando quell'Evviva l'Italia che Mameli all'inizio aveva scritto con lo slancio romantico dell'800 che oggi il XXI secolo farebbe molta fatica a recuperare.

Uno slancio che potrebbe sentire innaturale, cacofonico. «Viste le inclinazioni musicali moderne, credo che oggi non esistano musicisti in grado di comporre un inno nazionale - conclude Paolo Petronio -.

La musica che oggi si definisce classica non è per niente orecchiabile, quindi non si presta a dipingere l'atmosfera corale, sanguigna, volitiva che un inno deve alzare al cielo e imprimere nell'animo».

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