Cultura e Spettacoli

«Masked», l'Intifada al Franco Parenti

Un dramma familiare racconta il volto umano del conflitto arabo-israeliano

Il cosiddetto teatro civile, quello che fa discutere e smuove le coscienze, esiste ancora oppure è finito anch'esso nel calderone delle mode dettate da mamma televisione e dai best seller antimafia alla Saviano? In questi giorni, nella sala Anima del Franco Parenti, è in corso uno spettacolo che fa discutere e certamente smuove le coscienze anche se racconta una realtà geograficamente lontana dalla Madonnina: i Territori della Palestina. Cioè i luoghi di cui siamo abituati da tempo inenarrabile -e sino alla noia- ad ascoltare cronache di ordinarie tragedie che coinvolgono, a fasi alternate, arabi e israeliani. Lo spettacolo «Masked», messo in scena da tre bravisimi attori diretti da Maddalena Fallucchi, riesce a rompere all'improvviso la noia televisiva e a riattualizzare con umano pathos e senza un briciolo di retorica la questione dell'Intifada. Senza retorica e neppure giudizi di valore politico o morale. Al punto che la guerra sotterranea e quotidiana interpretata dalla tragedia familare che si consuma tra le pareti di una macelleria palestinese, viene messa in scena dal testo di un autore israeliano, Ilan Hatsor. Il quale, nelle stupefacenti vesti di avvocato del diavolo, scrive un appunto che viene consegnato all'ingresso del teatro a tutti gli spettatori: è fondamentale, scrive nel suo messaggio, osservare la realtà dal punto di vista «dell'altro da sè», nell'auspicio che in un giorno non lontano qualche palestinese possa fare la stessa cosa «perchè solo mettendosi nei panni dell'altro, di colui che consideriamo il nemico, sarà possibile domani raggiungere la pace». Chapeau. Esiste ancora un teatro civile in grado di smuovere le coscienze? Evidentemente sì, esiste, se consideriamo le accuse e le critiche che all'indomani della Prima sono state (ingiustamente) mosse da una parte della comunità ebraica milanese alla direttrice del Franco Parenti, Andree Ruth Shammah. Anch'essa, come è noto, ebrea. Lo spettacolo, dicevamo, è forte. Ma la sua forza proviene dalla capacità del teatro vero di mandare messaggi universali mescolando sapientemente la realtà, anche quella più cruda, alle emozioni: bersaglio che solo l'arte -in questo caso grazie alla regìa e all'alto livello recitativo degli attori- è in grado di centrare. Una realtà trasfigurata ma non troppo, quella privatissima dei tre fratelli palestinesi che nella stanza fredda e spoglia del negozio di famiglia, vivono con i canoni classici dellaa tragedia greca, il conflitto tra gli interessi umani, il legame di sangue, e una battaglia quotidiana che ognuno di loro vive (o tradisce) a modo suo.

Al centro, però, resta soltanto l'uomo, con le sue debolezze e la sua grandezza.

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