Cultura e Spettacoli

Matzneff, l'uomo che mette un romanzo in ogni mail

Vitalista, dissipatore, sulfureo ma malinconico. Il grande scrittore francese è trascurato dagli editori italiani. Ma il suo sperimentalismo è genio puro

Matzneff, l'uomo che mette un romanzo in ogni mail

Les Émiles de Gab la Rafale (Léo Scheer, pagg. 364, euro 20) è il titolo dell’ultimo libro di Gabriel Matzneff e rimanda al soprannome che i suoi commilitoni gli diedero quando era sotto le armi. Rafale in francese vuol dire raffica, sventagliata, e come tiratore Gab era imbattibile: «A 200 metri mettevo una pallottola nel culo di una mosca». Emile sta invece per e-mail, termine anglosassone che Matzneff non ama. Nel chiamare così la sua posta elettronica, quest’ultima ha anche il merito di ricordare il nome di battesimo di Cioran, che di Matzneff fu amico e lettore, e di Littré, il celebre lessicografo al cui amore per la lingua francese Matzneff è debitore. Come si vede, in un semplice titolo c’è già materia per una biografia.
Matzneff è un cognome russo, e infatti i genitori di Gabriel-Gab appartengono a quella Russia bianca degli esuli della Rivoluzione d’Ottobre. Da qui viene il suo interesse per i culti e i riti della Chiesa cattolica ortodossa, combinata a un paganesimo stoico e a un amore per il mondo e il modo d’essere greco-romano: il risultato è una religiosità a prima vista contraddittoria, eppure a suo modo coerente.
In mezzo secolo di scrittura, Matzneff ha messo al mondo una trentina di libri: narrativa, saggistica, poesia, diaristica. Ha pubblicato per Gallimard, Lattès, La Table Ronde, Folio, ha avuto fra i suoi estimatori Aragon e Montherlant e poi Dominique de Roux, Philippe Sollers, Bernard Henri-Lévy, vale a dire la destra e la sinistra (si sa che il centro, in letteratura come in politica, non esiste) quando sono intelligenti. Se l’editoria italiana fosse un po’ meno miope e pigra, avrebbe una piccola-grande miniera da sfruttare: romanzi come Ivre du vin perdu e Nous n’irons plus au Luxembourg, libri di viaggio e di memoria come Comme le feu mêlé d’aromates, saggi come La diététique de Lord Byron, Le dìner des mousquetaires, Vous avez-dit métèque?.
Il sottotitolo di Les Émiles de Gab la Rafale ha per sottotitolo «roman électronique», romanzo elettronico: perché, dice il suo autore, rimanda a un elettrocardiogramma, un sismografo che registra, grazie all’immediatezza del mezzo impiegato, «i soprassalti del mio umore incostante». E perché la sua vita «variopinta, contrastata» gli sembra «più romanzesca della finzione più ingegnosa». Costruito sulle e-mail-émiles inviate fra il 2005 e il 2009, è un libro tipicamente matzneffiano, dove si mischiano giudizi politici e considerazioni letterarie, riflessioni sull’arte e sulla società, interessi e idiosincrasie. Insomma, è un breviario esistenziale e un manuale di resistenza contro la modernità e la volgarità del mondo, scritto da un cultore della vita e dell’amore. Amore, non sesso, e vale la pena spiegare il perché.
C’è in Francia intorno a Matzneff una sorta di leggenda nera da lui a suo tempo spiegata così: «Quando siete uno scrittore che riassume sul suo nome una reputazione di libertà e di libri sulfurei, il pubblico ha sui vostri amori delle idee molto precise e disserta sui vostri giochi d’alcova con altrettanta sagacia che se voi l’aveste chiamato a reggergli la candela. Ciò si aggrava se siete soliti soggiornare in città conosciute per la precocità sessuale della loro giovinezza: vivere ieri a Venezia o a Marrakech, oggi a Bangkok o a Manila, è già in sé un peccare o un dichiararsi colpevoli. I viaggi sono delle confessioni. In realtà, le vere confessioni di uno scrittore sono i suoi libri: essi solo sono importanti». Diceva Cocteau che «i cattivi costumi sono le sole cose che gli altri ci prestano senza esigerle di averle indietro»...
Les Émiles è anche un libro orgogliosamente malinconico. Matzneff ha superato i settant’anni e per uno che ha fatto della giovinezza e della sanità della vita una religione, l’età anagrafica, per quanto molto ben portata, più che una constatazione è un’offesa e un insulto. Ironicamente scrive di preferire al termine «attempato» quello di «millésimé», oppure «stagionato. L’uomo vero è come il parmigiano. Più è stagionato, più è buono». Appartiene a una generazione e a un’epoca per le quali viaggiare era ancora un piacere, e ora è costretto a lottare contro il turismo di massa, il disprezzo per ogni estetica, l’impazzimento dei prezzi. Lo fa viaggiando controcorrente, un po’ come i salmoni che risalgono i fiumi... Avendo abbracciato la scrittura come una missione, non ha pensione, non vive di collaborazioni e questo, unito al concetto molto russo della dissipazione e del beau geste, comporta un’esistenza eternamente sul filo della pura sopravvivenza combattuta a colpi di puro spreco.
E tuttavia Les Émiles è soprattutto un libro vitalistico, pieno di curiosità, di stupori, di meraviglia. Il libro di uno spirito libero e quindi maniacale, perché «più un uomo ha una natura fantastica, umbratile, versatile, contrastata, indecisa, e più ha bisogno, se non vuole soccombere, di fissarsi delle regole, regulae ad directionem vitae, e di attenervisi».

Così, il ritratto che ne vien fuori è quello di un pessimista allegro, un egoista generoso, un gourmand frugale, un temperamento di destra con idee di sinistra, un teorico del suicidio innamorato della vita.

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