Questa ci mancava. Eppure eravamo sicuri di aver visto e sentito tutto l’immaginabile sulle acrobazie dei nostri politici. Ma ascoltare le parole sul 25 Aprile dell’onorevole Roberto Menia, coordinatore del Fli, ci ha lasciato increduli, per non dire sconcertati. Lui, il duro ex fascista, celebra la ricorrenza elogiando gli attivisti del suo partito che sfilano, bandiere in pugno, a fianco dei partigiani. «Questa è una festa di tutti gli italiani», si è affrettato a ricordare. Che bella scoperta la sua. Anche se tardiva. Essì perché alla rispettabile età di 49 anni, l’ex sottosegretario del governo Berlusconi si è sentito in dovere, per la prima volta, di tessere le lodi della Resistenza. Proprio quella Resistenza che è stata sempre il suo cavallo di battaglia in politica. Di battaglia contro, ovviamente.
Voltagabbana? Inciucista? O che altro? Cominciamo subito col dire che Menia non è uno Scilipoti qualunque. Il coordinatore del Fli ha mosso i suoi primi passi in politica a Trieste, nelle formazioni giovanili del Msi. Una carriera brillante che lo ha visto nel 1980 diventare segretario del Fronte della Gioventù, poi leader del Msi triestino, fino a diventare deputato nel 1994. Per lui, il leader del Msi, An e Fli, Gianfranco Fini ha sempre avuto un occhio di riguardo. Non fosse altro perché Trieste è stata a lungo una roccaforte della destra, un generoso bacino di voti e pure un laboratorio politico. Anche se oggi si direbbe il contrario, visto il caos e le divisioni che regnano nel centrodestra locale, con il duro Menia che abbandona la leadership per entrare nel Fli (ma la base abbandona lui) e una lista civica nata da una scissione di An (un «che fai, mi cacci?» in salsa locale) per gli atteggiamenti troppo duceschi del nostro onorevole. Ma la politica è sempre in movimento, come le idee del coordinatore del Fli. Figlio di esuli, promotore della legge che ha istituito il giorno del Ricordo per onorare le vittime delle foibe e dei massacri dei partigiani titini, in trent’anni di politica ha lanciato pochi slogan ma sempre molto chiari per una città sensibile come Trieste: comunisti traditori della patria, partigiani assassini, Tito boia. Ma sono stati la sua fortuna. Non è uno scherzo. Dovete sapere, per chi è a digiuno di storia locale, che Trieste è sempre stata una città divisa sul 25 Aprile (e non solo). Perché, come ha sempre ricordato nei suoi discorsi e nei suoi comizi il duro onorevole, mentre in quella data terminava il secondo conflitto mondiale e l’Italia veniva liberata, per il capoluogo giuliano cominciava la terribile occupazione dei partigiani comunisti di Tito. La città, quindi, a più di sessant’anni di distanza non ha ancora metabolizzato quella tragedia. Ma tutto il mondo è paese, e perciò non bisogna meravigliarsi se qualcuno, da una parte o dall’altra, l’abbia strumentalizzata a fini politici. E il duro Menia non si è risparmiato, nelle parole e talvolta anche andando per le spicce, nel ricordare che comunisti e partigiani non erano graditi in città. Ora, se la questione non fosse mortalmente seria, ci sarebbe da ridere nel sentire gli elogi del 25 Aprile e della Resistenza sulla bocca di chi, fino a ieri, era definito «squadrista» ed era accusato di rendere omaggio ai «profughi fascisti della Venezia Giulia e Dalmazia » e di voler riabilitare i fascisti (sic) «morti per mano del liberatore Tito». Ma la fata Smemorina dev’essere passata in casa del nostro onorevole. Poverino, tutto a un tratto si scordato il passato e le sue alterne fortune.
Lui, il vivace sostenitore dell’uguaglianza tra partigiani e reduci della Repubblica di Salò. Sarà l’età che avanza. O, forse, a forza di passare il tempo in Parlamento smanettando con i videogame, deve aver scambiato la realtà per un gioco di ruolo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.