Roma

Una metafora del mondo nel pollaio di Rostand

Uomini travestiti da animali e animali che, a loro volta, fanno il verso agli uomini. Sembra un gioco di scatole cinesi e invece è la felice formula che tiene in piedi un’opera stramba, visionaria e buffonesca come Chantecler di Edmond Rostand, autore francese vissuto a cavallo tra Otto e Novecento di cui il grande pubblico conosce certamente il celebre Cyrano de Bergerac. Questo suo altro titolo, non altrettanto famoso, poco ha a che fare con le smancerie romantiche di spadaccini frementi d’amore; sembra semmai una commedia allegorico-satirica ispirata alla tradizione dei «roman» medievali (per risalire fino a Esopo e all’Aristofane de Gli Uccelli o Le Rane), dove, attraverso gli striduli litigi di un pollaio animato dalle più diverse specie di volatili, viene ritratta una scanzonata metafora del mondo. Ci voleva il coraggio di un regista energico quale Armando Pugliese per liberare dalla polvere questa partitura a più voci (circa trenta gli attori in scena) e offrirne la versione lieve, variopinta e teatralissima ora in cartellone all’Argentina. Così come ci voleva la scaltrezza linguistica di Enzo Moscato per rielaborare alla radice il testo, infarcendolo di un colorismo tutto italiano (e, nello specifico, partenopeo), di allusioni all’oggi, di citazioni colte, di pasticci linguistici prodighi di musicalità. Ciò che tuttavia maggiormente stupisce nello spettacolo, prodotto dallo Stabile di Catania, è la bella prova «mimetica» degli interpreti. Tutti bravi nel muoversi, svolazzare, cantare, beccare e pavoneggiarsi come fossero veri e propri esemplari piumati alle prese con le invidie, le contese e le cattiverie serpeggianti in qualsiasi società. Basti vedere l’agile destrezza con cui Pietro Bontempo assume le sembianze del protagonista, il gallo Chantecler, poetico annunciatore dell’alba; o come Ernesto Lama restituisca l’elettrica presenza del Merlo; o con che divertito eccesso Carla Cassola si trasformi in Faraona; o, ancora, con quanta grazia Imma Villa accondiscenda le variazioni emotive della Fagiana. E la lista potrebbe proseguire a lungo. Perché qui non c’è nessuno fuori coro.

Il meccanismo funziona, anzi, proprio perché tutti - spettatori compresi - stanno al gioco e lo vivono come un’irriverente, per quanto amarognola, pulcinellata.

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