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Mike l’Italiano e Anna la Rossa 007 dell’era Facebook

Il verbale dell’Fbi sembra uscito da «A prova di Spia», la parodia del film dei fratelli Coen: tanto antiquati erano i loro metodi che sembrano firmati da John Le Carré. Ma non è roba da cortina di ferro: secondo gli investigatori americani gli undici russi accusati di essere agenti segreti hanno aiutato gli eredi del Kgb fino a pochissimi giorni fa. Mosca sull’Hudson: una New York cinematografica ha fatto da sfondo all’azione delle spie. Una libreria, Barnes and Noble, le panchine di Central Park, i caffè Starbucks hanno ospitato incontri clandestini, scambi di borse e di passaporti. «Sei pronta a questo passo?»: «Shit, yes», ha risposto Anna (Anya) Chapman, 28 anni, seducente divorziata con master in economia alla Rossijskij Universitet Druzby Narodov, cadendo nella trappola dell’agente del controspionaggio americano che sabato scorso in un ristorante di Manhattan l’ha finalmente incastrata. Anna «la Rossa», 183 amici su Facebook, era arrivata a New York transitando da Londra dove aveva fatto la «schiava» da Barclays (lo dice lei su Linkedin). Mike «l’italiano» (Mike Zottoli, arrestato ad Arlington in Virginia ed ex residente a Seattle) si faceva passare per banchiere d’affari.
I protagonisti del «circo del Cremlino» emerso dalle indagini dell’Fbi sembrano avere avuto vite perfettamente normali. Le istruzioni ricevute da «Centro Mosca» erano esplicite: «Usare l’istruzione, conti in banca, macchina, casa al servizio della causa: infiltrarsi nei circoli politici americani e mandare informazioni». Se necessario le spie viaggiavano oltremare. Per un incontro a Roma uno degli imputati, Richard Murphy, doveva avvicinare il suo contatto con un messaggio in codice: «Non ci siamo conosciuti a Malta nel 1999?». E l’altro: «Sì, ero a La Valletta, ma nel 2000», prima di consegnare un passaporto falso irlandese per il proseguimento del viaggio in Russia. Inchiostro invisibile, messaggi criptati.
Il racconto messo insieme grazie alle cimici piazzate dagli agenti Maria Ricci e Amit Kachhia Patel nelle abitazioni dei russi è ad alta concentrazione di stereotipi delle storie di spionaggio. «Sono la punta di un iceberg» dell’infiltrazione negli Stati Uniti del Svr, il servizio di intelligence russo, ha detto in corte a New York il procuratore Michael Farbiarz.
Gli undici avevano abitato per oltre un decennio in città americane e nei sobborghi prendendo l’identità di operose coppie qualsiasi: «Con quelle ortensie, come poteva essere una spia?», ha reagito allibita Jessie Gugig, 15 anni, che abitava accanto a Cynthia, la moglie di Murphy, a Montclair in New Jersey. Rincuora sapere che anche le spie hanno problemi di computer: Anna «la Rossa» se ne era lamentata con il suo contatto UC-1 con cui comunicava dallo Starbucks di Times Square mentre lui stava con l’auto in ascolto in una strada vicina.

I mandanti di Mosca diffidavano (forse a ragione) dei loro «illegali» (questo in gergo il termine con cui gli eredi del Kgb indicano gli infiltrati): il Centro Mosca ad esempio non riusciva a capire come mai proprio i Murphy (due figlie alle elementari, lui con un certificato falso di nascita a Filadelfia) avessero deciso di comprare una casa.

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