Controcultura

Il mondo sovietico visto da un conte nel Gulag dorato dell'hotel Metropol

Un nobile agli arresti domiciliari per trent'anni nel grande albergo di Mosca. Fra amori, spie, cronisti, cene. E lezioni di libertà ai compagni

Il mondo sovietico visto da un conte nel Gulag dorato dell'hotel Metropol

Il defunto hotel Lux e l'ancor vivo hotel Metropol distano a occhio e croce, guardando la cartina di Mosca, due o tre verste, per parlare all'antica. Due o tre chilometri, per non fare troppo i difficili. Ma a separarli idealmente c'è uno spazio siderale. Fra i due, il Lux era quello preferito, negli anni Venti, Trenta, Quaranta e Cinquanta, insomma, durante l'ascesa e l'apogeo del regime sovietico, dal fior fiore del comunismo mondiale, inclusi i nostri Gramsci e Togliatti. L'altro, il Metropol, non che fosse un'enclave di libertà, ma quantomeno godeva di maggiore allure internazionale, e non nel senso dell'inno omonimo...

Nell'hotel Lux Enzo Bettiza ambientò il primo volume del suo romanzo-fiume I fantasmi di Mosca, intitolandolo appunto Hotel Lux, uscito nel 1993. Bastava la parola. La confessione di Doimo Rismond, funzionario del Comintern, che abbraccia quattro anni epocali, dal 1936 al '40, è lo sfondo su cui si staglia un groviglio di racconti e di personaggi reali e immaginari in gran parte figli dell'attività di corrispondente di Bettiza nella capitale russa, delle sue conoscenze in tema di politica estera e della sua penna, ben più che giornalistica, intinta nel genere noir e in quello spionistico, se vogliamo.

E ora all'hotel Metropol un'altra penna appuntita e raffinata, quella dello statunitense Amor Towles (già autore di un affresco su La buona società newyorkese degli anni Trenta), dedica un lungo romanzo dal taglio molto differente. In Un gentiluomo a Mosca (Neri Pozza, pagg. 560, euro 18,50, traduzione di Serena Prina), infatti, il signore (in tutti i sensi) del titolo è un mattatore discreto della narrazione, che parte dal 1922 e termina nel '54, dopo la morte di Stalin. Un padrone di casa suo malgrado il quale, nell'atmosfera ovattata di lussuose suite e grandi ristoranti, scomodi sottotetti e sgabuzzini segreti, silenziosi uffici e piccoli laboratori di sartoria, trasmette al lettore i riflessi, attutiti da quella sorta di extraterritorialità goduta dal grande albergo, dell'universo russo colorato di rosso.

Perché abbiamo scritto «suo malgrado»? Perché il conte Aleksandr Il'ic Rostov ha sì scampato il plotone di esecuzione che gli... spettava di diritto in quanto nobile, ma ha visto la sua pena commutata negli arresti domiciliari. Durante un processo lampo, tenutosi il 21 giugno 1922 «dinanzi al comitato d'emergenza del commissariato del popolo per gli affari interni» e in cui l'accusa è sostenuta dal compagno A.I. Vyinskij, Rostov ammette di aver pubblicato nel '13 un poema («È risaputo che so tirare di penna»); ammette che «tutta la poesia è un incitamento all'azione»; ammette di essere partito per Parigi il 16 maggio dello stesso anno e di essere tornato in patria nel '18, anche se non per imbracciare le armi a fianco dei bolscevichi, ma perché aveva «nostalgia del clima». Conclude il compagno Ignatov: «Ci sono alcuni dei rappresentanti anziani del Partito che la considerano fra gli eroi della causa prerivoluzionaria. È quindi opinione di questo Comitato che lei debba fare ritorno all'albergo che tanto le piace. Ma non faccia errori: se mai dovesse mettere un piede fuori dal Metropole, sarà fucilato. Avanti un altro».

Così, con cuore pesante e bagaglio leggero, il Nostro rientra alla base, dove risiede, nella suite 317, dal 5 settembre del '18. Vi rimarrà altri 31 anni esatti (a parte qualche ora per condurre in ospedale una certa ragazzina che da bimba lo chiamava «zio Sasha» e che ha cresciuto come un padre, figlia di un'altra ex ragazzina di sua conoscenza che gliel'ha affidata). Anche in Un gentiluomo a Mosca, come nell'Hotel Lux di Bettiza, si alza il sipario su una miriade di personaggi. C'è la seducente attrice nuova inquilina della suite 317, dove trascorrerà molte notti con il conte, c'è l'amico di gioventù del Nostro, di lui più idealista e dunque più incline a cacciarsi nei guai, ci sono i funzionari del Partito ai quali Rostov dà lezioni di libertà, c'è un americano con cui discutere di capitalismo e collettivizzazione, c'è chi arruola potenziali spie per inchiodare alle loro responsabilità i «nemici del popolo». Il conte, divenuto solerte cameriere, tra vini francesi e piatti ricercati, concerti e litigi, tanti ricordi e nessun piano di fuga, trova nel Metropol la sua piccola patria.

Quella che altri, là fuori, stanno martoriando nel nome del comunismo.

Commenti