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Australia, pugno di ferro contro le certificazioni "halal"

La senatrice Hanson del One Nation Party vince la sua battaglia in Senato sul controllo delle certificazioni islamiche sui cibi. Secondo la destra australiana, i soldi dei prodotti andrebbero a finanziare l'islamizzazione del Paese

Australia, pugno di ferro contro le certificazioni "halal"

La senatrice australiana Pauline Hanson ha ottenuto il supporto del Senato per proseguire la sua battaglia per il controllo e la tracciabilità dei proventi di tutti i prodotti alimentari che possiedono la certificazione “Halal”, e che quindi sono leciti secondo le regole dell’alimentazione islamica.

La proposta della senatrice e fondatrice del partito “One Nation”, è quella di ridefinire i parametri con i quali viene concessa la certificazione e, in particolare, comprendere quali siano le entità giuridiche che ottengono finanziamenti pubblici grazie a questa etichetta sugli alimenti. Il problema fondamentale, per quanto concerne questa etichettatura, è, infatti, rappresentato dalle terze parti che ricevono soldi grazie alla vendita di questi prodotti contrassegnati come “halal”. Una battaglia che il partito della destra australiana porta avanti ormai da più di un anno e che, dopo diciotto mesi di confronto pubblico e d’indagine sui prodotti, ha finalmente ricevuto il placet dei senatori.

Secondo il movimento della senatrice Hanson, questa etichetta sarebbe in realtà il veicolo attraverso il quale sarebbe finanziata “l’islamizzazione dell’Australia”. Parole forti, tipiche di un movimento cosiddetto “populista”, ma che nascondono, in realtà, un fondo di verità. Perché, se è vero che difficilmente si può credere che questi soldi siano utilizzati per l’islamizzazione dell’Australia, è anche vero che i centri culturali islamici appartenenti alla Federazione che si occupa di questa certificazione, ottengono soldi dal ricavato della vendita di questi cibi certificati. Soldi che poi confluiscono nelle moschee e nei centri culturali islamici che fanno riferimento a questa federazione.

L’accusa rivolta dal One Nation Party è quindi in realtà un’accusa rivolta allo Stato australiano, che si renderebbe complice di un finanziamento di miliardi di dollari alle organizzazioni islamiche presenti in Australia, ma che potrebbero anche fare riferimento a Paesi terzi. La certificazione è, infatti, presente su tantissimi prodotti alimentari, non solo quelli di alcune aziende, e quindi, in sostanza, i cittadini australiani acquistando prodotti alimentari, pagano una sorta d’imposta statale che va a finire nelle casse della comunità musulmana. Per la senatrice Hanson, la quantità di soldi che arrivano a queste associazioni è talmente elevata da dover per forza costringere il governo australiano a imporre una tracciabilità di questi soldi. Un esempio di questo finanziamento è la Malek Fahd Islamic School cdi Sidney, scuola islamica che ha perso milioni di dollari di finanziamento pubblico nel 2017, dopo che i giudici avevano ritenuto di escluderla dal supporto pubblico, e che adesso è finanziata grazie a questi miliardi di dollari che arrivano attraverso l’acquisto di cibi “halal”.

Per la senatrice Hanson si tratta di una vittoria storica, che le apre le porte di un più ampio consenso in tutto il territorio australiano. Sono ormai anni che il suo movimento accusa lo Stato australiano di aver chiuso gli occhi sul problema del radicalismo islamico nel continente, ma soprattutto sul rischio della crescente radicalizzazione delle comunità islamiche presenti ormai con numeri elevati in tutta l’Australia. In questo senso, la battaglia politica riguardo alle certificazioni halal è soltanto l’ultima delle lotte contro l’immigrazione islamica. Una lotta che però non investe soltanto il movimento della destra populista di Hanson, ma che in realtà trova un consenso abbastanza esteso in tutto l’arco costituzionale australiano, anche nella destra conservatrice e liberale. Il motivo è da ricercare nella crescente diffidenza di Canberra e dintorni per l’arrivo di milioni di persone sul proprio territorio.

Nonostante le immense capacità di accoglienza dell’Australia e le possibilità offerte anche in termini di lavoro, i cittadini stanno recependo con difficoltà le ultime ondate di immigrazione, soprattutto perché li considerano difficilmente integrabili nella cultura del Paese, rimasta imperniata su un solido liberalismo.

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