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Bufera sulle forze armate Usa: "Acquistano droni cinesi"

Gli acquisti di droni cinesi sono stati giustificati dallo stesso Pentagono, presentati come diretti a sopperire a “necessità di approvvigionamento”

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Negli Usa è appena esploso uno scandalo relativo all’acquisto di droni cinesi da parte delle forze armate nazionali.

Secondo documenti ufficiali del Pentagono e testimonianze di alti funzionari militari, raccolti dall’emittente Voice of America, l’aviazione e la marina di Washington si sarebbero finora procurate dei velivoli senza pilota fabbricati nel gigante asiatico, nonostante il dipartimento della Difesa statunitense li avesse bollati come“pericolosi per la sicurezza nazionale”. Nel maggio del 2018, il dicastero in questione aveva appunto vietato l’importazione negli Usa di droni messi a punto da aziende cinesi, poiché considerati strumenti di spionaggio camuffati. A detta del governo federale, infatti, tali aeromobili trasmetterebbero di nascosto a Pechino informazioni sulle attività delle forze armate americane.

Dal giorno della sua introduzione fino al giugno di quest’anno, il divieto voluto dal dipartimento della Difesa sarebbe stato però, riportano le fonti ufficiali consultate da Voice of America, palesemente disatteso dall’aviazione e dalla marina a stelle e strisce, che avrebbero acquistato, complessivamente, più di trenta velivoli a pilotaggio remoto prodotti dalla società Da Jiang Innovations (DJI), con sede a Shenzhen, nel sudest della Cina. In particolare, nonostante i pericoli per la sicurezza nazionale e l’esplicita interdizione disposta dal Pentagono, l’aviazione avrebbe finora speso circa 50mila dollari per comprare 35 droni realizzati da tale azienda, mentre la marina ne avrebbe sborsati 190mila per procacciarsi un quantitativo “ancora imprecisato” degli aeromobili incriminati.

All’indomani dell’inchiesta realizzata dall’emittente, il dipartimento della Difesa ha reagito provando a presentare come totalmente regolare le importazioni di velivoli dal gigante asiatico effettuate dalle forze armate statunitensi. Il portavoce del Pentagono, il tenente colonnello Mike Andrews, ha quindi spiegato, ai microfoni dello stesso network, che gli acquisti di prodotti originari del Paese orientale sarebbero stati compiuti dall’aviazione e dalla marina per sopperire a “necessità ineludibili di approvvigionamento”, nonché in virtù di “autorizzazioni speciali” accordate direttamente dal governo di Washington.

Il dipartimento della Difesa ha in seguito precisato che avvierà a breve un piano straordinario di incentivi alle industrie nazionali attive nel settore delle tecnologie militari, denominato “Trusted Capital Marketplace”, così da incoraggiare le aziende Usa a investire nella realizzazione di droni e sottrarre il mercato statunitense alla penetrazione di aeromobili cinesi caratterizzati da prezzi bassissimi.

L’opposizione democratica ha commentato lo scandalo che ha coinvolto l’esercito e la marina a stelle e strisce redigendo una norma finalizzata a mettere al bando una volta per tutte l’acquisto, da parte della Difesa americana, di apparecchiature fabbricate nell’ex Celeste Impero. Su iniziativa dei parlamentari liberal, il Senato federale ha infatti approvato da poco un emendamento alla legge di bilancio per il prossimo anno, che incoraggia appunto l’industria statunitense dei droni e vieta senza mezzi termini le importazioni di questi ultimi dal Paese orientale. A redigere tale emendamento è stato il dem Chris Murphy, secondo cui i soldi del bilancio federale dovrebbero essere spesi esclusivamente per “aiutare le manifatture nazionali”.

La Da Jiang Innovations, accusata da Washington di inondare il mercato americano di “velivoli-spia”, ha sempre bollato come “totalmente falsi” i dossier del Pentagono che evidenziano la “pericolosità per la sicurezza Usa” dei macchinari messi a punto dalla compagnia di Shenzhen.

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