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Chico Forti: "Tutto il mio processo è stata una bugia"

Sta scontando l’ergastolo in una cella del carcere di Miami negli Stati Uniti. Accusato di omicidio nonostante le prove a suo carico fossero davvero inconsistenti

Enrico Forti è rinchiuso in una prigione di massima sicurezza nelle paludi infestate di alligatori delle Everglades
Enrico Forti è rinchiuso in una prigione di massima sicurezza nelle paludi infestate di alligatori delle Everglades

Classe 1959, Enrico Forti, originario di Trento, sta scontando l’ergastolo in una cella del carcere di Miami negli Stati Uniti. L’accusa è quella di omicidio. Il suo incubo è iniziato il 16 febbraio del 1998 quando, il corpo senza vita di Dale Pike, viene ritrovato in una spiaggia della Florida. Di questa uccisione è stato accusato Forti, al tempo un produttore televisivo, che proprio in quei giorni era in trattativa con il padre di Dale per l’acquisto di un hotel.

Enrico Forti, chiamato dagli amici “Chico”, si è sempre dichiarato innocente. E la sua condanna è arrivata nonostante le prove a suo carico fossero davvero inconsistenti, tanto che la giuria americana, nel leggere il verdetto, ha affermato: “La Corte non ha le prove che Forti abbia premuto materialmente il grilletto, ma ha la sensazione, al di là di ogni dubbio, che sia stato l’istigatore del delitto”.

IlGiornale.it lo ha intervistato telefonicamente dal carcere di Miami, dove è detenuto da quasi sedici anni.

Quali sono state le fasi del processo più contrastanti che l’hanno portata a questa condanna?

Tutto il mio processo è stata una bugia e per raccontare le fasi contrastanti ci vorrebbero ore. Ad ogni modo, prima fra tutte, credo sia stato l’uso di un informatore che ha barattato una sua possibile sentenza all’ergastolo per una falsa testimonianza davanti al grand jury, che è l’organo giudiziario che ha permesso ed autorizzato il mio arresto. Poi le diverse bugie non ritrattabili dette dai vari responsabili della polizia che mi hanno arrestato. Inoltre i giurati erano convinti della mia innocenza ma a metà processo sono stati richiamati uno per uno dal giudice che gli ha consegnato un messaggio dove sostanzialmente gli veniva detto che le loro convinzioni erano sbagliate. Un messaggio subliminale che ha “avvelenato” i giurati. Solo a parlarne mi viene l’amaro in bocca. Ce ne sono molte altre. Ma credo che queste siano sufficienti. Se avessi saputo che il processo non sarebbe stato regolare, probabilmente l’avrei affrontato in modo diverso.

Crede che il fatto di essere un cittadino italiano abbia in qualche modo condizionato la sua condanna?

Indubbiamente. I poliziotti di Miami non di rado associano l’italiano facoltoso alle organizzazioni mafiose. Nel mio caso mi è stato detto in faccia dopo che hanno sputato sulla fotografia dei miei tre bambini.

Quale percezione aveva prima di essere condannato del sistema giudiziario americano?

In realtà non avevo una percezione specifica. La mia fedina penale era immacolata e non avevo neanche mai ricevuto una multa per eccesso di velocità.

E ora che percezione ha?

Ora posso dare un’opinione basata sui fatti: il sistema giudiziario, almeno quello di Miami, è basato sul principio de “il fine giustifica i mezzi”.

Da quasi sedici anni è rinchiuso in una cella. Ci racconta come passa le sue giornate?

Attualmente mi sveglio ogni giorno alle 4:45 di mattina per andare a lavorare nel dipartimento per i progetti speciali. Insegnare mi aiuta enormemente a passare il tempo in modo dignitoso. Quando rientro, se faccio in tempo, cerco sempre di chiamare mia madre per darle la buona notte e per rassicurarla che sto bene. Alle 22.30 le luci si spengono e mentre tutti dormono, io cerco di sintonizzarmi sulla radio della Bbc per ascoltare le notizie dal mondo. Poi chiudo gli occhi per circa due ore. Sembra poco ma qua ho imparato a concentrare il riposo nel mio corpo e nella mia mente. Per la maggioranza delle persone il tempo nel carcere non passa mai. Al contrario, per me, ogni minuto è importante. Rifletto molto sul mio passato e mi chiedo il perché di questa abominevole ingiustizia.

I momenti più bui?

Tanti. Il primo è stato sicuramente quando è morto mio padre. Non sono potuto stargli vicino e non ho potuto ringraziarlo per tutto quello che mi ha insegnato. Quotidianamente sento la lontananza dai mie tre figli che adoro. E mi manca tantissimo non poter vedere l’alba o il tramonto.

Ha mai subito violenze?

Grazie a Dio mai fisicamente. Ma ho visto tanti abusi senza possibilità di replica. Ho visto gente perdere la vita per una minestra o per cambiare canale alla televisione. Quotidianamente subisco violenza morale e psicologica.

Come riesce a sopravvivere?

Credo che sedici anni di reclusione come li ho vissuti io tra restrizioni impossibili, sono la ricetta perfetta per perdere la testa e lasciarsi andare. Diventare uno zombie. L’unico rimedio è quello di ritrovare se stessi interiormente. Trovare un appiglio, una ragione per vivere. Nel mio caso è quello di riuscire a dimostrare a tutti i costi la mia completa innocenza. La forza la trovo nelle incredibili dimostrazioni di solidarietà e di amicizia da parte degli amici più cari e in centinaia di migliaia di italiani che hanno preso a cuore la mia storia e non mi hanno mai abbandonato. Per loro devo sopravvivere. Per loro non posso mollare.

In Italia, grazie anche ai social network, molte persone hanno conosciuto e preso a cuore la sua tremenda storia…

Nella disgrazia è stata la sorpresa più bella, un raggio di sole nel cielo grigio. Mi sembra che ogni italiano che è venuto a conoscenza della mia vicenda, dopo averne capito le varie sfaccettature, si sia schierato dalla mia parte.

E invece, la diplomazia italiana, l’ha aiutata concretamente?

All’inizio no. Ma non solamente per il fatto che non ci sia stato un grande interesse per la mia storia. Credo che sia stato così perché l’ostacolo del sistema giudiziario americano sembrava insuperabile. Adesso si stanno muovendo in tanti e li ringrazio molto per questo.

C’è una concreta possibilità di riaprire presto il processo?

Più che una speranza, è una certezza. Non ho mai dubitato sul fatto di avere di nuovo la mia libertà. L’unico problema sono i tempi e la modalità.

Quali sono le sue speranze per il futuro?

Il futuro non è lontano, ed ogni ora, ogni minuto, ogni secondo ed attimo, c’è la sensazione di un imminente risveglio da questo incubo. Così da poter riabbracciare tutte le persone a me care e tutte quelle che mi hanno aiutato con la loro solidarietà e la loro amicizia.

Gente che, nonostante non mi abbia mai conosciuto, ha fatto e sta facendo tantissimo per me.

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