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L'eredità avvelenata della Libia che ha aperto la strada all'Isis

Ghedaffi teneva a bada i jihadisti. Dopo la guerra di Sarkozy, l'estremismo islamico ha avuto il via libera per conquistare la Libia, ponte verso l'Europa. Sostieni il reportage

L'eredità avvelenata della Libia che ha aperto la strada all'Isis

Il terrore è lì, a poche ore di viaggio dalle coste italiane. L'espansione dello Stato islamico in Libia è solo uno dei tanti "bocconi avvelenati" lasciati nel Mediterraneo dalla strategia del presidente francese Nicolas Sarkozy che scatenò una folle guerra per deporre il presidente libico Muammar Gheddafi. Sin dagli anni Novanta, e ancor di più dai primi anni 2000, il rais ha controllato (non senza il consenso implicito di Stati Uniti e di alcune potenze occidentali) i movimenti estremisti tradizionalmente basati in Cirenaica.

L'avanzata dei jihadisti filo Isis, che in queste ore insanguinano il golfo della Sirte, era prevedibile, almeno dallo scoppio della guerra in Libia quattro anni fa. I miliziani che oggi combattono in nome del califfo Abu Bakr al Baghdadi non sono altro che i sopravvissuti del jihadismo storico della Cirenaica, dei combattenti mandati in Iraq a partire dal 2003, di alcuni detenuti della prigione americana di Guantanamo e di diversi terroristi tornati in libertà tra il 2009 e le manifestazioni che nel febbraio del 2011 venivano organizzate contro Gheddafi. Tra questi spicca il nome del libico Abu Sufyan ben Qumu, già coinvolto nell’attacco alla missione diplomatica americana di Bengasi. Dopo aver passato anni a Guantanamo, gli americani lo consegnano a Gheddafi nel 2008. E nell’ottobre del 2011, poco prima della caduta di Tripoli, viene misteriosamente rilasciato. "Poco dopo - spiega Lorenzo Declich, già docente all’Università Orientale di Napoli e uno dei massimi studiosi italiani di jihadismo - ben Qumu figura come il leader di Ansar Sharia, un gruppo qaedista che ha poi giurato fedeltà all’Isis". Dal 2009 le autorità libiche avevano rilasciato circa 850 terroristi, tra cui Nasser Taylamun, indicato come uno degli autisti di Osama bin Laden, Abdelhakim Belhaj, Khaled Shrif e Sami Saadi, rispettivamente leader, capo militare e ideologo dell’allora ala qaedista libica. In precedenza, i servizi di sicurezza di Tripoli avevano facilitato la partenza di questi e di altri jihadisti verso l’Iraq del dopo Saddam Hussein. Alcuni tornano in Libia proprio per partecipare, sotto il vessillo qaedista, alla guerra scoppiata nel 2011.

La pericolosità dello scenario libico è anche data dalla proliferazione di armi provenienti dall’arsenale di Gheddafi. Secondo fonti di intelligence, gran parte di queste armi sarebbero finite nelle mani dei contrabbandieri e di diversi gruppi della galassia jihadista dentro e fuori la Libia. Nel 2013 la Reuters pubblicò le fototografie dei proiettili anti-carro sparati dai terroristi islamici in Mali, fabbricati in Belgio e venduti tra il 1973 e il 1980 alla Libia di Gheddafi. Sempre in Mali sarebbero stati sparati munizioni anche da armi americane uguali a quelle fornite dagli Stati Uniti a Gheddafi tra gli anni Cinquanta e Sessanta. E ancora: vengono sempre dall’arsenale di Gheddafi anche i fucili d’assalto di fattura sovietica, mitragliatrici e lancia-granate usati dai Tuareg. "Questa presunta immissione di armi in Mali dalla Libia rappresenta gli effetti indesiderati di una guerra appoggiata dall'Occidente - spiega il New York Times - e solleva nuovi interrogativi sul motivo per cui la Nato e le milizie alleate che hanno aiutato i ribelli a sconfiggere l’esercito di Gheddafi abbiano fatto così poco per impedire che quelle armi si disperdessero".

Da decenni l'est della Libia è terra di contrabbando, un porto sicuro per traffici di ogni tipo. Qui, sin dagli anni Novanta, c'è la culla del jihadismo libico. Un’altra zona grigia della Libia nel caos sono le sue regioni a sud e sud-ovest.

Qui, il qaidismo ha trovato corpo in organizzazioni terroristiche dell’Africa subsahariana e nei nuovi legami tra diversi rami africani del jihadismo: gli Shabaab somali, Boko Haram in Nigeria, i jihadisti in Mali.

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