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Il dilemma di un Paese e la sua storia

Dovevano andare in Ruanda e in Uganda, e poi a Israele non è bastato il cuore di mandare quelle donne coi bambini in braccio, quegli uomini affaticati e impauriti ad affrontare di nuovo la fame e il pericolo di vita

Il dilemma di un Paese e la sua storia

Dovevano andare in Ruanda e in Uganda, e poi a Israele non è bastato il cuore di mandare quelle donne coi bambini in braccio, quegli uomini affaticati e impauriti ad affrontare di nuovo la fame e il pericolo di vita. Benjamin Netanyahu ha scelto la via dei Paesi Occidentali per 16mila di loro; altri 16 mila, specie le famiglie con i bambini, resteranno in Israele. Perché? Il perché non è tanto nelle proteste popolari anche se ora i movimenti che in questi anni sono scesi in piazza si vantano. Il motivo sta in quelle immagini stampate nella mente di ogni ebreo che si rispetta, immagini delle navi rimandate indietro con i profughi in fuga dalla Shoah, rispediti indietro a morire; il motivo sta nelle immagini dei primi pionieri che in Israele sono arrivati con mezzi di fortuna, senza un soldo e senza un vestito, accolti senza alcuna pietà a forza di bombe e fucilate. E a chi chiede se non è sbagliato domandare ad altri Paesi di fare un sacrificio che non si vuole fare in prima persona, la risposta è questa: è semplicemente impossibile per Israele aprire le porte coi suoi 8 milioni di abitanti in parte arabi stipati sulla minuscola striscia di terra assediata dal mondo circostante all’immigrazione a un fenomeno che come ha detto Netanyahu, travolgerebbe lo Stato democratico ed ebraico.

Infine, la differenza fra Israele e gli eventuali Paesi ospiti è che Israele deve concentrare tutte le sue energie per sopravvivere all’attacco pluridecennale e indefesso dei suoi nemici, che la circondano ovunque e l’assediano dall’interno.

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