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È morta Lina Ben Mhenni, simbolo della rivoluzione tunisina

Blogger, giornalista e attivista per i diritti umani, si è spenta ieri dopo una lunga malattia; Lina non aveva mai smesso di combattere contro la corruzione, l'islamismo e i poteri forti

È morta Lina Ben Mhenni, simbolo della rivoluzione tunisina

Si chiamava Lina Ben Mhenni e tramite il suo blog, "A Tunisian Girl", è stata la voce e il simbolo della rivoluzione che nel 2011 ha portato alla caduta di Ben Ali. Giornalista, blogger, docente di linguistica all'Università di Tunisi e attivista per i diritti umani, era di corporatura minuta ma aveva un coraggio da leone, sempre in prima linea per difendere i diritti del popolo tunisino, al punto da guadagnarsi la candidatura al Nobel per la pace nel 2011. Lina è morta ieri, a soli 36 anni, in seguito a una lunga e logorante malattia autoimmune che l'aveva costretta anche a un trapianto di rene dall'esito purtroppo non positivo.

Con la sua telecamera, Lina aveva girato la Tunisia in lungo e in largo per documentare il disagio sociale ed economico dilagante nel Paese ed era sempre presente in difesa della libertà di espressione, dei diritti umani e contro la corruzione. Fu lei, nel dicembre 2010, la prima giornalista a raggiungere la cittadina di Sidi Bouzid, dove il venditore ambulante Mohamed Bouazizi si diede fuoco per protestare contro la gravosa situazione economica della popolazione, fatto che diede poi il via alla cosiddetta "Rivoluzione dei Gelsomini", ma che lei preferiva chiamare "rivoluzione della dignità".

Una rivoluzione che per Lina doveva essere soltanto la fase iniziale verso una Tunisia moderna e democratica, con separazione tra religione e politica e dove i giovani potessero costruirsi un futuro senza trovarsi a dover scegliere tra vivere nella miseria o immigrare.

Figlia di Sadok Ben Mhenni, intellettuale marxista imprigionato dal dittatore Habib Bourghiba, Lina non ha mai usato pseudonimi nonostante gli enormi rischi di chi si batte contro un regime. Lei la militanza ce l'aveva nel sangue e dopo la "Primavera Araba" si era scontrata anche con i poteri forti del post-rivoluzione, denunciando il fondamentalismo del partito islamista Ennahda, le violenze commesse dai salafiti, la corruzione dilagante e la tortura nelle carceri, aspetto che Lina conosceva bene, non soltanto per storia familiare, ma anche perché di violenze ne aveva subite anche lei, da parte di quella polizia incurante della sua patologia e che "sapeva bene dove colpirla per fare male", come testimoniato da lei stessa.

Lina non era certo il tipo che si faceva intimorire o impressionare; andava dritta per la sua strada, con gli obiettivi ben chiari davanti a sè e una volta raggiunti ne puntava subito degli altri, perchè c'era ancora tanto da fare in Tunisia. Avrebbe potuto andarsene a lavorare all'estero, ma non l'ha fatto, perché il suo posto era in Tunisia dove c'era bisogno di lei, come disse anche nell'estate del 2013 al Festival Adriatico Mediterraneo di Ancona. Recentemente aveva anche aderito al movimento "#EnaZeda", traduzione letterale di "Anche io", versione tunisina del fenomeno mondiale "#Metoo" a difesa delle donne molestate.

Lina Ben Mhenni ha combattuto due grandi battaglie, una contro la corruzione e i poteri forti, l'altra contro la malattia, quella maledetta malattia che l'ha portata via a soli 36 anni.

I segni lasciati da Lina restano però indelebili e la sua vita di esempio per tutti.

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