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Ecco l'identikit dei 130 foreign fighter italiani: il 9,6% è già rientrato nel nostro Paese

Immigrati di prima e seconda generazione, disoccupati e con precedenti penali: un rapporto dell'Ispi traccia il profilo di 125 dei 130 foreign fighter italiani. Il 9,6% è rientrato nel Bel Paese

Ecco l'identikit dei 130 foreign fighter italiani: il 9,6% è già rientrato nel nostro Paese

Per la maggior parte musulmani, immigrati di prima o seconda generazione, con un basso livello di istruzione, disoccupati o impiegati in lavori di carattere manuale. A fare l’identikit dei foreign fighter italiani è un rapporto dell’Ispi, che grazie alle informazioni fornite in esclusiva dal ministero dell'Interno e dalla Polizia di Stato ha passato in rassegna i profili individuali di 125 dei 130 combattenti legati all'Italia che fino all’ottobre del 2017 hanno abbracciato la jihad in Siria, Iraq e Libia.

Di questi, soltanto undici sono nati nel Bel Paese. La stragrande maggioranza è di origine straniera: immigrati di prima e seconda generazione provenienti dal Nord Africa (in particolare Tunisia e Marocco), dal Medio Oriente e dai Balcani. La Siria è la destinazione più popolare tra i jihadisti partiti dalle città italiane. Soltanto il 5,6%, infatti, ha scelto di combattere con le bandiere nere in Libia e il 2,4% in Iraq. Circa la metà dei combattenti ha lasciato il nostro Paese durante il biennio 2013-2014, nel periodo di massima espansione del Califfato. In 76 hanno scelto di aderire al sedicente Stato Islamico. Più basso, invece, il numero dei combattenti arruolatisi sotto le insegne di Jabhat al-Nusra (18) e dell’Esercito libero siriano (5). Sono 31 i combattenti affiliatisi a gruppi jihadisti minori.

L’analisi dell’Ispi evidenzia anche come nel nostro Paese la radicalizzazione non passi per le metropoli ma per i piccoli centri. È da qui che proviene la maggioranza dei combattenti. Tra le regioni italiane che hanno ospitato il maggior numero di volontari spicca la Lombardia, dove risiedeva il 31,7% degli individui schedati dal ministero dell’Interno, seguita da Emilia Romagna e Veneto. A partire per abbracciare la “guerra santa” dell’Islam sono in gran parte uomini, 113 su 125. L’età media è di 30 anni, ma non mancano i giovanissimi, come una ragazza di 16 anni, o quelli più avanti con l’età, come un marocchino di 52. Quasi tutti sposati al momento della partenza per il fronte, il 44,8% svolgeva mansioni di carattere manuale, l’8% era impiegato in ufficio, il 34,4% risultava disoccupato, mentre solo il 2,4% studiava. Il livello di istruzione, infatti, risulta “basso” per l’87,7% dei profili presi in esame.

La percentuale di convertiti, tra i foreign fighter italiani è dell’11,2%. Circa la metà dei soggetti ha frequentato “almeno occasionalmente”, un luogo di culto islamico. Per gli altri invece non sono disponibili informazioni. Il 44% dei combattenti possedeva precedenti penali, e il 22% di loro aveva trascorso un periodo in carcere prima della partenza, come Moez al Fezzani, reclutatore di diversi miliziani in Italia. Almeno il 24% aveva legami con il network del terrore italiano ed europeo. Quasi la metà degli individui profilati mostrava abilità informatiche ed era attivo sul web. Il 19,2%, inoltre, faceva uso di droghe.

Secondo l'Osservatorio sulla Radicalizzazione e il Terrorismo Internazionale almeno il 33,6% dei jihadisti partiti dal nostro Paese sarebbe deceduto nei teatri di conflitto mediorientali, mentre ad aprile 2018 il 19,2% aveva fatto ritorno in Europa. Il 9,6% dei combattenti stranieri legati all'Italia si troverebbe attualmente sul territorio nazionale. Non ci sono informazioni certe, invece, sul destino del 24% dei miliziani rimasti in Siria, Iraq e Libia. Tuttavia, mette in chiaro il rapporto, nessun foreign fighter italiano è stato “coinvolto attivamente nel supporto e tantomeno nell’esecuzione di attacchi terroristici in Occidente” e soltanto un numero esiguo - tre su 125 - ha mostrato interesse a pianificare attentati. Il numero dei foreign fighter italiani resta inoltre molto basso rispetto a quello di altri Paesi europei: sono 1.900, ad esempio, gli aspiranti jihadisti partiti dalla Francia e quasi mille quelli cresciuti in Germania o nel Regno Unito.

Ma la minaccia rappresentata dai foreign fighter partiti dal nostro Paese, secondo l’istituto, non è per questo da sottovalutare.

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