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Il grido di dolore della Siria: "Basta sanzioni, bloccano la ricostruzione"

È l'appello delle comunità cristiane in Siria ai governi di tutto il mondo. Aiuto alla Chiesa che Soffre: "Le sanzioni? Stanno assassinando la popolazione"

Il grido di dolore della Siria: "Basta sanzioni, bloccano la ricostruzione"

Oltre mezzo milione di morti, quasi 12 milioni di persone senza più una casa, 6,7 milioni di sfollati interni di cui 2,8 bambini, un milione di orfani di guerra e due milioni di minori fuori dal sistema scolastico. Sono i numeri della catastrofe generata dal conflitto siriano.

“Rispetto a qualche anno fa le condizioni nel Paese sono migliorate”, assicura padre Talal Mtanis Taalab, originario di Maaloula. “Nelle zone liberate dal governo- continua - sono riprese le attività educative, gli ospedali funzionano di nuovo e questo ha restituito al popolo un senso di sicurezza e di tranquillità”. “La speranza – dice a ilGiornale.it – è quella di ricostruire la Siria come era prima”. Ma se le bombe hanno smesso di cadere su gran parte del territorio la devastazione delle città e delle anime rimane. Parte della famiglia di padre Taalab è stata giustiziata dai jihadisti che hanno invaso Maaloula nel settembre del 2013. “Siamo nati cristiani e moriremo cristiani”, hanno risposto quando gli è stata offerta la conversione all’Islam come unica via di salvezza. Alcuni di loro sono stati torturati ed uccisi immediatamente, “con una pallottola in testa e una nel cuore”. Altri sono stati rapiti e ritrovati nel 2016 grazie agli 007 libanesi.

“Le autorità musulmane di Maaloula – denuncia il sacerdote – non ci hanno aiutato minimamente a cercarli perché sono contro il governo”. “Ricostruire gli edifici sarà difficile, ma ancora più difficile sarà restituire agli uomini quello che hanno perso”, commenta. Risanare la frattura tra la comunità cristiana e quella musulmana è una delle sfide della ricostruzione. Ma a bloccare il ritorno ad una vita normale ora ci sono soprattutto le sanzioni economiche. A sottolinearlo è il direttore della sezione italiana di Aiuto alla Chiesa che Soffre, Alessandro Monteduro, di ritorno da una missione nel Paese logorato dalla guerra civile, dove la metà della popolazione non ha un impiego, lo stipendio medio è di 80 dollari e un chilo di carne ne costa otto. “Non esistono effetti collaterali delle sanzioni – precisa Monteduro – esiste un solo tragico effetto, quello di affamare la popolazione”. Per questo tutti i siriani chiedono alla comunità internazionale di “rimuoverle”.

Nel Paese si vive con la benzina razionata. Una circostanza che rende difficoltosi gli spostamenti anche per le autorità religiose o per i volontari che si occupano di aiutare i civili. Su una popolazione di 18,2 milioni di abitanti in 15 milioni non hanno accesso all’acqua. “Le sanzioni economiche stanno assassinando i siriani ed in particolare la comunità cristiana”, afferma senza mezzi termini il direttore della fondazione pontificia nel corso di una conferenza stampa sul tema della ricostruzione, cui ACS Italia finora ha contribuito con 75 progetti, investendo un totale di 4,2 milioni di euro. Oltre alle privazioni economiche, infatti, le minoranze religiose devono affrontare anche le discriminazioni. I numeri parlano chiaro e fotografano una comunità ridotta allo stremo, con quasi duemila cristiani uccisi, 677 rapiti, 1,3mila chiese danneggiate e quasi 8mila abitazioni distrutte, in particolare nella provincia di Homs.

La presenza cristiana in Siria si è dimezzata dal 2011 e così anche il numero dei battesimi e dei matrimoni. “Bisogna tener conto della loro voce”, raccomanda Monteduro, ricordando anche la situazione di migliaia di anziani abbandonati a loro stessi e non più autosufficienti. “Sono quelli che si sono sacrificati, rimanendo soli per consentire a figli e nipoti di fuggire dal conflitto: ora non hanno più nessuno che si occupi di loro”, spiega. Per aiutarli è stata messa in cantiere la costruzione di decine di case di cura in tutto il Paese. “Il nostro appello ai governi e alla comunità internazionale è di permetterci di vivere in pace, senza armi e senza terrorismo, nella nostra terra”, dice padre Taalab. Togliere le sanzioni è il primo passo per fermare l’esodo.

“Non vogliamo fuggire – ripete - aiutateci a rimanere qui”.

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