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Kazakhstan, dove le elezioni si fanno, anche anticipate

Astana evita l’ingorgo istituzionale e rilancia l’economia. Sullo sfondo il rapporto con la Russia

Kazakhstan, dove le elezioni si fanno, anche anticipate

Mentre in Italia si sta conducendo una confusa battaglia sulle riforme istituzionali e sulla legge elettorale, altri Paesi, espressione di una democrazia più “giovane” come il Kazakhstan, tornano alle urne per le elezioni anticipate del Presidente della Repubblica. Lo scopo di Astana, capitale dello Stato centrasiatico, è di evitare quello che a Roma sarebbe definito un “ingorgo istituzionale”: la sovrapposizione delle elezioni del Capo dello Stato e di quelle politiche finalizzate al rinnovo dell’Assemblea parlamentare, entrambe previste per il 2016. In Italia sarebbe già una notizia quella di poter tornare a votare per eleggere un Premier che abbia partecipato alle elezioni… Dopo le esperienze di Mario Monti, Enrico Letta e Matteo Renzi, tutti catapultati a Palazzo Chigi per volere dell’ex inquilino del Quirinale, Giorgio Napolitano, risulta un po’ difficile dare in giro lezioni di partecipazione democratica alla vita politica del Paese, magari appellandosi a cavilli costituzionali che salvano la forma ma non la sostanza delle cose. E invece, a fine di aprile, in Kazakhstan si torna alle urne per eleggere il Presidente della Repubblica.

Le ragioni che hanno spinto l’attuale capo dello Stato, Nursultan Nazarbayev, ad anticipare il voto di un anno sono diverse. Esiste, infatti, uno specifico divieto costituzionale che impedisce la sovrapposizione dei due impegni elettorali, ma vi sono anche motivi di più vasto respiro che riguardano il difficile periodo economico internazionale ed i rischi di geopolitici per tutta l’area centroasiatica. Già a metà febbraio, l’Assemblea del Popolo, il Parlamento del Kazakhstan, ha espresso questa preoccupazione dichiarando che “Il mondo non è stabile e la crisi finanziaria ed economica globale è ancora in corso”. È essenziale, dunque, per Astana, lanciare un messaggio di continuità e di decisionismo per fare fronte ad alcune minacce incombenti. Da una parte, infatti, il perdurare della crisi a livello globale ed il crollo del prezzo del petrolio e di altre materie prime, core business del Paese, rischiano di indebolire le finanze nazionali di Astana. Dall’altra parte, si fanno sentire gli effetti delle sanzioni comminate da Stati Uniti ed Unione Europea alla Russia. Mosca ed Astana, infatti, sono due economie altamente integrate. Le sanzioni inflitte a Vladimir Putin ed il conseguente rallentamento dell’economia russa non possono che avere effetti nefasti anche sullo stato di salute dell’economia kazaka Tuttavia, a differenza degli storici partner bielorussi, Astana si è impegnata a non mettere in discussione l’idea di abbandonare la Comunità Economica Eurasiatica, progetto fortemente voluto proprio dal leader kazako Nazarbayev. D’altronde il Kazakhstan è di gran lunga il più grande Stato dell’Asia centrale e non solo da un punto di vista geografico.

Gli economisti di Bloomberg, stimano che sia uno dei venti Paesi con la più rapida crescita tra le economie dei mercati emergenti nel 2015, posizionandosi all’undicesimo posto nella classifica mondiale. Una potenza regionale che si è attrezzata per tempo per fare fronte ai pericolosi effetti della crisi economica attraverso il progetto “Nurly Jol” (la Via della Luce), mettendo a disposizione del Paese le riserve del Fondo Nazionale creato nel 2000, uno tra i primi nello spazio post-sovietico, finalizzato al sostegno dell’economia interna e alla riduzione della dipendenza del bilancio kazako dalla congiuntura dei prezzi mondiali delle risorse energetiche. L’Asia centrale, in questo frangente, è attraversata anche da notevoli pressioni geopolitiche. Con il ritiro delle forze della coalizione internazionale antiterrorismo dall’Afghanistan, aumenta il rischio di essere sottoposti alle infiltrazioni dei movimenti jihadisti presenti in Asia, Afghanistan in testa, ma anche dalla Siria. In pericolo è, dunque, la stabilità di un’intera area, causato dall’emergere di elementi radicali interni. Oggi, infatti, il Kazakhstan è considerata a livello internazionale come una zona-cuscinetto, in grado di ostacolare anche il crescente traffico di droga proveniente dall’Afghanistan, utilizzato come fonte di finanziamento dagli estremisti. In questa complicata partita, Nazarbayev sta giocando un ruolo importante per garantire la stabilità e l’equilibrio sociale di tutta la scacchiera centroasiatica. Vent’anni al potere, un incarico di Presidente e una leadership forte fin dai tempi dell’indipendenza dalla dissolta Unione sovietica, Nazarbayev gode di una larga fiducia popolare che, pur messa in discussione dagli avversari politici dell’opposizione, non è stato oggetto di particolari reprimende da parte degli osservatori dell’Osce presenti in qualità di controllori nelle precedenti tornate elettorali vinte con un plebiscito. Una fiducia riconfermata più volte nel corso degli anni per la capacità di gestire una composita situazione interna, rappresentata da 140 gruppi etnici diversi e da ben più numerose confessioni religiose. Nessuno, nemmeno in Occidente, ha interesse a che si verifichino nel cuore dell’Asia esperienze traumatiche come quelle frutto delle rivoluzioni “colorate”. Georgia e Kyrgyzstan hanno lasciato sul campo ferite ancora aperte. L’Ucraina, invece, è un dramma che stiamo ancora vivendo. Il percorso per un nuovo “State building” sarà ancora lungo e difficile. La democrazia kazaka è ancora giovane ma il 26 aprile si vota per il Presidente. Almeno in Kazakhstan.

Daniele Lazzeri

Chairman del think tank “Il Nodo di Gordio”

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NododiGordio.org

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