Mondo

la lettera

Caro Direttore,

sul Corriere della sera Pierluigi Battista ha adoperato le parole giuste per commentare l'incredibile e oltremodo stigmatizzabile comportamento dell'Ordine nazionale dei giornalisti nei confronti di Magdi Cristiano Allam, reo di aver puntato il dito contro le criminali manifestazioni egemoniche degli estremisti islamici. Vorrei esprimere anch'io, che del Corriere sono giornalista, la mia totale solidarietà ad Allam. L'Ordine è un organismo autoritario che non trova riscontri in alcun paese europeo; nasce da una concezione superfascista dello Stato: è oggi non inutile, gravemente dannoso a ogni principio di libertà sì che una nazione civile l'avrebbe abolito da decenni. E in ordine all'Ordine posso citare anche la mia piccola esperienza istruttiva pur se benvero non paragonabile a quella, estrema, di Allam. Quando nel 1979 venni assunto al Corriere della sera i Salotti milanesi, spalleggiati dal Pci e dall'ufficio stampa della Scala, scatenarono la reazione contro di me; ci fu una raccolta di firme della cultura italiana; e l'Ordine della Lombardia, allora presieduto da un Carlo De Martino, per non mancare di correre in soccorso degli apparenti (allora) vincitori, mi denunciò a quello mio di appartenenza per incompatibilità collo status giornalistico dal momento ch'ero anche professore; e me la cavai solo per aver trovato una precedente sentenza relativa a Giovanni Spadolini che statuiva i maestri di una certa disciplina poter e dover insegnare.

Subito dopo il critico musicale Teodoro Celli, che non era stato dal Messaggero chiamato nella sua Milano, inviò al direttore del Corriere Alberto Cavallari, in mano al Pci (e che, odiando tutti, odiava particolarmente Zincone, Feltri e me), una lettera nella quale affermava che io ero stato assunto dal predecessore Franco Di Bella per il fatto d'esser l'amante del grande Giovanni Testori, che a Di Bella mi aveva raccomandato: e l'Ordine nazionale rigettò il mio ricorso contro il Cavallari che, per impedirmi di querelare il Celli, non volle dare a mie mani la missiva e nemmeno rilasciarmi un documento attestante il suo contenuto infamante: che io conoscevo avendo avuta consegnata da Di Bella analoga lettera nella quale il Celli si vantava di aver scritto al Cavallari nello stesso senso. Di lettere, mi disse il professor Alberto Crespi, me ne occorrevano due perché vi fosse il requisito della pubblicità del reato; l'Ordine sentenziò che il direttore non era tenuto a ostendere corrispondenza privata: quasi che l'accusa del Celli non fosse stata inviata al Cavallari, come a Di Bella, nella qualità. Tanto per ricordarlo al lettore, il Cavallari portò il Corriere in prima linea contro Enzo Tortora nel suo calvario giudiziario: Tortora era innocentissimo.

Da ultimo, all'inizio del 2013, quando il soprintendente della Scala mi dichiarò persona non grata, l'Ordine nazionale (e, si badi bene, su mia sollecitazione, altrimenti nemmeno questo avrebbe fatto!) si limitò alla foglia di fico di un generico documento di protesta e non richiese, come io avrei desiderato, un incontro col ministro dei Beni culturali, della Scala massimo sovventore, perché agisse di conseguenza.

Sia chiaro, se definisco l'Ordine come lo definisco, non ho certo migliore opinione della Federazione Nazionale della Stampa, fra i principali colpevoli della proletarizzazione dello stato del giornalista; inutile dire che da anni non ne faccio parte.

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