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Libano come l'araba fenice. Viaggio nel fragile paese che riesce sempre a ripartire

Dal paesaggio alle comunità cristiane fino alla politica: ecco il paese che rinasce sempre dalla proprie ceneri

Libano come l'araba fenice. Viaggio nel fragile paese che riesce sempre a ripartire

Le casette colorate si alternano l'una all'altra, ognuna è pitturata in modo diverso. Dalle porte in stile arabo si affacciano intraprendenti gatti e signore dai capelli grigi. Architettura dopo architettura si arriva a un faro che si getta nel mare. Il quartiere è stato restaurato bene e ospita ristorantini alla moda con ragazzi con i rasta e poster di Bob Marley. I locali sono il posto ideale per venire a bere un buon bicchiere di vino della valle della Bekaa e mangiare un buon mezze di pesce. Nel centro del quartiere un'antica chiesa medioevale sorge su rovine dei primi secoli dopo cristo.

Un quartiere cristiano molto suggestivo, soprattutto perché immerso in una città dove i volti che appaiono maggiormente nei locali pubblici non sono quelli di Gesù Cristo, ma di Hassan Nasrallah leader di Hezbollah, e degli ayatollah iraniani Khomeini e Khamenei. Tiro è una splendida cittadina al confine con Israele immersa tra affascinanti siti archeologici e un antico porto. La maggioranza della popolazione è sciita. La comunità cristiana ha rapporti ambivalenti con Hezbollah. Se politicamente la maggior parte dei cristiani è alleata con i sunniti di Rafiq Hariri, Michel Aoun, storico generale anti siriano, oggi, dopo una notevole capovolta politica, si è alleato con gli sciiti di Nasrallah, storici amici della Siria e dell'Iran. Hezbollah è il braccio armato della Persia e sogna di esportare la rivoluzione islamica iraniana in Libano. Tiro ha sofferto molto per i continui problemi tra Hezbollah e Israele. La città è stata bombardata da Israele nel 2006 e ancora oggi non è raro che la milizia sciita provi a lanciare missili su Israele dalle campagne intorno alla città. Oggi il confine è pattugliato dall'Unifil, la forza Onu di interposizione. Nonostante la guerra civile iniziata nel 1975 sia terminata nel 1990, la religione è ancora una fattore di tensione in Libano.

La costituzione del paese prevede che il presidente sia cristiano maronita, il primo ministro sunnita e il presidente del parlamento sciita. Le tre comunità contano più o meno il 30% l'una della popolazione, ma non esiste un censimento ufficiale perché tutti temono di scoprire che la situazione possa essere mutata. Dopo 15 anni di guerra civile, nessuno vuole ricominciare a contare le teste. Il paese conta inoltre tantissime altre fedi, come i drusi, nati in Egitto nell'undicesimo secolo e che identificano l'imam Fatimide Al Hakim come Dio. Anche la comunità cristiana, non essendo più stata sottoposta, dopo la conquista araba, né al controllo centrale di Costantinopoli né a quello di Roma, si è estremamente frastagliata. Si contano nel paese decine di fedi diverse. Per non scontentare nessuno tutte le feste religiose cattoliche, ortodosse, sunnite, sciite sono feste nazionali. La fragilità del paese si ripercuote sul governo centrale. In Libano si alternano, una dopo l'altra, fasi in cui non esiste nessun esecutivo a momenti in cui vi sono governi di unità nazionale in cui sono presenti tutti. Questi esecutivi sono di solito estremamente fragili perché formati da partiti che rappresentano comunità con visioni completamente contrapposte della vita e del futuro del paese. I sunniti di Saad Hariri, figlio di Rafiq Hariri sono legati alla Arabia Saudita e hanno una visione del paese conciliante con la modernità, ma sono comunque legati ai wahabiti di Riad, gli sciitti di Hezbollah sognano invece di realizzare una repubblica islamica sciita, mentre i cristiani un grande stato cristiano in Medio Oriente.

Inoltre la politica libanese è divisa da un altro fiume carsico: la vicinanza o no all'ex potenza occupante, quel che resta della Siria di Bashar al Assad. I sunniti la detestano, gli sciiti combattono in Siria per difenderla, i Cristiani sono divisi. Per fortuna l'opinione pubblica libanese ha un solo desiderio: vivere in pace e ritornare a essere uno dei principali hub finanziari del mediterraneo del Medio Oriente. Nessuno ha intenzione di far precipitare il paese in una nuova guerra civile, questo è il vero collante nazionale del paese. Attualmente il primo ministro è l'indipendente Sunnita Tamman Saeb Salam che guida dal 2014 un governo di unità nazionale. Il centro storico di Sidone è un vero capolavoro; il suo intricato suq medioevale nasconde moschee sunnite, chiese di varie fedi, cattedrali crociate trasformate in moschee dai mamelucchi. Dovunque trionfano gli odori delle spezie e dei dolci, i rumori degli artigiani che lavorano il legno, i canti delle messe delle chiese per il venerdì santo ortodosso e il canto del muezzin per la preghiera del venerdì. I bambini giocano a calcio tra le vie del centro perfettamente restaurato della Fondazione Rafiq Hariri. Rafiq Hariri oltre a essere l'ex primo ministro ucciso in un attentato davanti alla Zaitunay bay a Beirut è stato il vero promotore della ricostruzione post guerra civile del paese.

L'operazione è riuscita grazie a un mix di finanziamenti sauditi e interessi privati, anche dello stesso Hariri. Solidere, la società che ha ricostruito tutto il centro di Beirut è una sua creatura. Dopo la sua uccisione per mano dei siriani, alla cui occupazione si opponeva, il figlio Saad ha preso il suo posto nella coalizione “Future”, detta anche l'alleanza del 14 marzo. Il centro di Beirut è il vero punto d'incontro tra le varie zone confessionali della città ed è un trionfo di liberalismo nato dall'anarchia. Si trova tutto dalle discoteche gay alle moschee e chiese. Tutto è possibile perché nessuno ha la forza d'imporre la sua visione. Le zone centrali di Beirut ricordano molto Montecarlo e l'odore dei soldi si sente lontano miglia. In città l'apparenza e l'effimero si mischiano alla cultura underground, alle macchine da centinaia di migliaia di euro e fino a pochi anni fa alle autobombe contro politici e giornalisti. Si ballava nelle discoteche durante la guerra, si balla oggi tutta la notte. Qui oltre i cristiani e i musulmani esiste un altro gruppo: i laici. Provenienti da tutti i gruppi religiosi sono per lo più i nuovi giovani della borghesia che non hanno alcuna voglia di parlare o ricordare le vecchie divisioni settarie. Sono molto più interessati alla bella vita, all'arte moderna, alla grafica, all'architettura, all'ultimo club alla moda. L'oblio attraverso l'effimero sembra un'arma vincente per il Libano. Il paese da più di anno è senza presidente perché la colazione “Future” di Hariri non riesce a trovare un'intesa con quella dell'8 marzo controllata da Hezbollah su un nome di un politico cristiano maronita che riesca a mettere d'accordo tutti. Tra i possibili candidati vi sono Samir Geagea, l'unico politico cristiano a essere finito in carcere per i fatti della guerra civile, Amin Gemayel e il generale Michel Aoun. Da Beirut parte una tortuosa e mal tenuta strada che porta a Damasco. La strada attraversa la valle della Bekaa, un lungo alto piano incastonato tra montagne che arrivano fino ai tremila metri. É una sottile lingua di terra che separa il Libano dalla Siria, un autentico mosaico in cui ogni tessera è un villaggio sciita o cristiano di varie fedi. Qui gli sciiti sono la maggioranza, ma alcune città o paesi sono totalmente cristiani. Si vendono le magliette di Hezbollah o le bottiglie di vino delle tantissime cantine vinicole che costeggiano la valle famosa in tutto il mondo per il suo vino prodotto dai cristiani. La gente viene qui da Beirut per vedere le meravigliose rovine romane di Baalbek o della città omayyade di Anjar, o per fare un wine tasting a Zahle sotto la protezione di un'immensa madonna che tiene in mano un grappolo d'uva posta su rampa più alta di un minareto. I libanesi hanno un'autentica passione per le madonne poste su edifici alti quanto grattacieli che rivaleggiano con i minareti. In questo luogo dove ogni tre chilometri si passa da paesini cristiani a cittadine sciite più che mai i cristiani hanno paura della maggiore crescita demografica degli sciiti e dei musulmani in generale. Se i cristiani fanno in media due figli, gli sciiti ne fanno 4. In più i cristiani delle varie fedi tendono a immigrare all'estero.

La diaspora libanese è tre volte la popolazione del paese. E' però vero che i cristiani che lasciano il Libano non rescindono mai completamente il cordone ombelicale con il paese e tendono a fare avanti indietro. Inoltre a Beirut una crescente laicizzazione rende le differenze tra i cristiani e i musulmani ricchi quasi impercettibili agli occhi di un europeo. Dal mosaico della valle della Bekaa passando per montagne con stazioni sciistiche molto alla moda e paesini costieri con centri storici degni della Sardegna o della Costa Azzurra e periferie devastate da costruzioni degne delle migliori speculazioni edilizie italiane si arriva a Tripoli. La città a maggioranza sunnita al confine con la Siria potrebbe tranquillamente essere definita la Napoli del Libano. Splendida, caotica e più povera del resto del paese. Qui le onde del mare s'infrangono sull'antico porto a poche centinaia di metri da un suq mammalucco di rara bellezza. L'atmosfera sembra quella di Forcella a Napoli. Monumenti splendidi e fatiscenti sono immersi in una folla di persone che vendono i loro prodotti e urlano per richiamare i compratori. Questa città problematica e che ha vissuto ultimamente preoccupanti scontri politici rimane una delle più affascinanti del libano per chi cerca il fascino del mondo che fu. Sopra il Suq trionfa un antico castello crociato in cui chiese e moschee si sono sovrapposte nei secoli, mentre a pochi chilometri vi è la splendida fiera internazionale di Tripoli costruita e mai terminata da Oscar Niemeyer. I lavori iniziarono nel 1975 e furono interrotti dalla guerra civile.

Nonostante gli edifici non siano mai stati terminati, sono sopravvissuti agli scontri armati e in parte oggi sono utilizzati per le fiere, splendida metafora di una paese che è come un vaso di cristallo tutto crepato che pero scintilla sempre e non si sgretola mai.

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