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La mente dell'11 settembre vuole collaborare con i giudici Usa

I legali del governo dell'Arabia Saudita hanno subito bollato come “nulle” le imminenti rivelazioni di Khalid Shaykh Muhammad sull’11 settembre

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Il presunto ideatore degli attentati dell’11 settembre 2001, ossia l’ex terrorista pakistano Khalid Shaykh Muhammad, ha ultimamente deciso di rivelare ai magistrati Usa le prove delcoinvolgimento di Riadnella pianificazione delle stragi avvenute in quell’anno sul suolo americano.

L’ex esponente di Al Qaida, stando a quanto riportato dall’agenzia di stampa britannica Reuters e dal quotidiano newyorchese Wall Street Journal, avrebbe infatti acconsentito a fornire agli inquirenti federali informazioni cruciali sul ruolo della Casa reale dell'Arabia Saudita nell’elaborazione e nel finanziamento di quegli attacchi, che provocarono la morte di circa 3mila persone. L’ex jihadista, rinchiuso dal 2006 nella prigione statunitense di Guantánamo, avrebbe compiuto tale svolta collaborativa su consiglio del suo team legale e al solo fine di“non venire condannato alla pena di morte” da parte dei giudici militari della base Usa in questione.

La testimonianza di Muhammad, una volta resa alle autorità del centro di detenzione, verrà poi trasmessa alla Corte distrettuale federale di Manhattan, dove è in corso una causa di risarcimento miliardaria promossa contro il governo del Paese mediorientale da quasi 25mila soggetti, tra familiari delle vittime dell’11 settembre, sopravvissuti all’attacco alle Torri Gemelle e aziende che, sempre nel 2001, hanno perso dei dipendenti a causa della medesima strage islamista.

L’agenzia Reuters e il Wall Street Journal hanno presentato le imminenti rivelazioni del detenuto pakistano come capaci di “sconvolgere completamente il quadro delle responsabilità circa la pianificazione del più sanguinoso attentato nella storia statunitense”. Grazie alla confessione dell’ex esponente di Al Qaida, le stragi avvenute diciotto anni fa verranno infatti attribuite non più alla rete jihadista fondata da Osama bin Laden, ma a uno Stato estero, l’Arabia Saudita appunto, con la conseguenza che risultino irrimediabilmente pregiudicate le storiche e amichevoli relazioni diplomatiche tra Washington e Riad.

Per il momento, l’amministrazione Trump osserva il massimo silenzio sulla questione. Né il dipartimento di Stato né quello della Giustizia hanno infatti diffuso comunicati per commentare la notizia della svolta collaborativa di Muhammad o i possibili effetti delle rivelazioni di costui sui rapporti tra gli Usa e la nazione islamica. Esternazioni su quanto riportato dalla Reuters e dal quotidiano newyorchese sono state invece rilasciate da Michael Kellogg, avvocato americano che attualmente difende le istituzioni saudite nella causa di risarcimento in corso presso la Corte distrettuale federale di Manhattan.

Egli ha dichiarato che qualsiasi accusa lancerà il detenuto Muhammad contro la Casa reale di Riad non potrà essere considerata valida e attendibile da “alcun tribunale degno di questo nome”, in quanto l’ex membro di Al Qaida sarebbe un individuo “non più capace di intendere e di volere”. Ad avviso del legale, a compromettere irrimediabilmente la facoltà del prigioniero pakistano di fornire testimonianze credibili avrebbe contribuito, oltre al prolungato periodo di detenzione a Guantánamo, la “drammatica serie di torture subita dall’ex terrorista.

A quest’ultimo, spiega sempre Kellogg, sarebbero stati appunto inflitti finora, per diretta ammissione dell’ex presidente George W Bush, ben “183 waterboarding”, ossia annegamenti controllati.

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