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Minacce jihadiste alle isole felici del Maghreb

Oggi voto blindato: i tunisini eleggono il nuovo Parlamento. Guai per Egitto, Tunisia e Marocco

Folla a un comizio alla vigilia delle elezioni tunisine
Folla a un comizio alla vigilia delle elezioni tunisine

Pur avendo un'agenda zeppa di impegni, Al Baghdadi riesce a ricavare del tempo per occuparsi di turismo. In realtà il suo ennesimo progetto oscurantista prevede la distruzione delle mete turistiche più famose di Tunisia, Egitto e Marocco. Attraverso la cellula Ansar Beit Al Maqdes, letteralmente «i Partigiani di Gerusalemme», si sta spingendo dal Sinai al Mar Rosso per colpire località come Hurghada, Marsa Alam e Sharm. I «partigiani» non scherzano, la loro ferocia è ampiamente documentata nel video trasmesso su internet lo scorso 28 agosto, quando venne mostrata al mondo la decapitazione di quattro uomini ritenuti fiancheggiatori del Mossad israeliano.

Il turismo è linfa vitale di un Egitto che verrebbe punito dai terroristi per l'alleanza anti-Isis sottoscritta tra il Segretario di Stato Usa Kerry e il presidente golpista Al Sisi. Un patto suggellato dalla consegna di 10 elicotteri Apache che l'esercito egiziano sta utilizzando proprio per bombardare le postazioni jihadiste nel Sinai. Se in Egitto i pericoli maggiori arrivano dalle zone rurali, la Tunisia ha grossi problemi da risolvere nelle grandi città. Non a caso proprio venerdì sono stati uccisi a Tunisi sei guerriglieri nel corso di un blitz anti-terrorismo, mentre a Sfax, motore industriale del Paese, è stata smantellata una cellula di combattenti.

La Tunisia è il luogo da cui proviene il maggior numero di stranieri che sono andati a combattere in Siria tra le fila dei ribelli, circa 2.700 (contro i 1.200 del Marocco). Nei bar della zona di Mnihla, quartiere a nord-est di Tunisi, decine di giovani disoccupati e appartenenti alla classe operaia esprimo la loro simpatia per le posizioni di Al Baghdadi. A loro modo di vedere la nascita di un califfato porterà all'assorbimento di tutte le monarchie del Golfo Persico ricche di petrolio, offrendo una più equa redistribuzione del benessere.

Molti di questi giovani, senza neppure partire per Raqqa o per il nord dell'Iraq, entrano in clandestinità e combattono in loco la guerra santa. Nel mirino ci sono le località di mare di Sousse, Djerba e Monastir, come per altro confermato dal ministro per la Sicurezza Ridha Sfar che ha rafforzato i controlli su tutti i bersagli sensibili.

Per la Tunisia è un momento molto delicato: proprio oggi circa 5 milioni di cittadini si apprestano a depositare nell'urna il voto per eleggere il secondo Parlamento dalla rivoluzione del 2011 che rovesciò il regime di Ben Ali. Tra un mese (23 novembre) verrà invece eletto un nuovo presidente. La Primavera Araba iniziò per l'appunto in Tunisia, ma si è dimostrata un fallimento, alla luce della difficile convivenza tra democrazia e islamismo moderato.

Altrove la condizione è più o meno simile: in Egitto si è arrivati al golpe, la Libia è anarchica, solo il Marocco sembra godere di una certa stabilità. Anche perché i Fratelli Musulmani dell'attuale premier Benkirane hanno dovuto fare i conti con l'intransigenza di re Mohammed VI, che è anche la guida spirituale del Paese e non ha consentito al partito Ennadha sostanziali modifiche alla Costituzione. Gli sforzi dei locali servizi segreti hanno portato all'arresto di 2.676 jihadisti nell'ultimo anno, sventando più di 200 attentati.

Non stiamo comunque parlando di un'isola felice, perché i simpatizzanti dell'Isis proliferano anche dalle parti di Rabat e le recentissime minacce alle località turistiche di Marrakech e Saidia vengono considerate dagli inquirenti più che attendibili.

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