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Morte di Regeni, ecco tutte le lacune sulla "verità egiziana"

Gli amici di Giulio Regeni sono sicuri: "Quegli occhiali e quella droga non erano di Giulio". Intanto il governo italiano, gli inquirenti e la famiglia non credono alla versione egiziana

Morte di Regeni, ecco tutte le lacune sulla "verità egiziana"

Ci sono ancora troppe lacune sulla sorte del povero Giulio Regeni. Soprattutto dopo la nuova versione data dalle autorità egiziane, con la banda di sequestratori sgominata e uccisa e la borsa ritrovata, con i documenti del giovane italiano. Un caso "risolto" in quattro e quattrotto dagli egiziani, ma in Italia nessuno crede a questa versione. Non ci crede il governo, non ci credono gli inquirenti italiani e non ci crede neanche la famiglia di Regeni, che parla di "oltraggiosa messa in scena" da parte degli egiziani. Il procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, intanto ha detto che gli elementi finora accertati "non sono idonei per fare chiarezza" sull'omicidio.

La tesi degli egiziani è questa: a uccidere Regeni è stata una banda di criminali dedita alle rapine, specie contro gli stranieri. Dopo un blitz della polizia sono stati uccisi tutti i suoi componenti (cinque persone). E perquisendo la casa di un familiare di uno dei componenti è stata trovata la borsa con i documenti dell'italiano e alcuni suoi effetti personali. "I servizi di sicurezza - si legge in un comunicato del ministero dell'Interno egiziano - hanno trovato nell'appartamento un bagaglio a mano rosso sul quale è stampata la bandiera italiana e all'interno c'è un porta documenti di colore marrone nel quale si trova il passaporto recante il nome di Giulio Regeni, nato nel 1988, il suo documento di riconoscimento dell'università americana con la sua foto sulla quale c'è scritto in lingua inglese Assistente Ricercatore, il suo documento di Cambridge, la sua carta di credito Visa e due telefoni portatili". I servizi di sicurezza, si legge ancora, "hanno trovato anche un portafogli femminile con la parola "love" nel quale si trovano 5 mila sterline egiziane, un pezzetto di materiale scuro che potrebbero essere 15 grammi di cannabis, un orologio".

Gli amici di Giulio sono certi: "Quegli occhiali da sole non sono suoi", rivela Amr Asaad. Un altro degli amici, Mohammed el Sayed, coinquilino di Regeni, non riconosce invece la "borsa rossa" in cui erano contenuti i documenti. Anche se ammette che non era solito entrare nella sua stanza, quindi potrebbe non averla vista per questo motivo. Si dice più che sicuro, però, che Giulio "non fumava droga".

Un'altra delle stranezze che emergono è questa: com'è possibile che una banda specializzata nel rapire gli stranieri si sia messa in testa di torturare una vittima? Questa pratica non ricorda, forse, altri tipi di "specialisti", sicuramente diversi dai rapitori?

Da Palazzo Chigi trapela un certo nervosimo. Alcune fonti fanno sapere che Governo italiano pretende che le indagini "facciano piena, totale luce, senza ombre o aloni sulla morte del giovane ricercatore italiano". E sui social network i familiari di Giulio espongono la bandiera gialla di Amnesty International con la scritta "Verità per Giulio Regeni", e dichiarano il proprio sdegno per la verità egiziana: "Siamo feriti ed amareggiati dall'ennesimo tentativo di depistaggio da parte delle autorità egiziane sulla barbara uccisione di nostro figlio Giulio che, esattamente due mesi fa, veniva rapito al Cairo e poi fatto ritrovare cadavere dopo otto giorni di tortura. Siamo certi della fermezza con la quale saprà reagire il nostro Governo a questa oltraggiosa messa in scena che peraltro è costata la vita a cinque persone, così come sappiamo che le istituzioni, la nostra procura ed i singoli cittadini non ci lasceranno soli a chiedere ed esigere verità.

Lo si deve non solo a Giulio, ma alla dignità di questo Paese".

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