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Altri attacchi, Obama offre una tardiva mediazione

Netanyahu: nessuna pressione ci fermerà. Hamas minaccia le compagnie aeree

Un missile lanciato da Gaza centra una stazione di rifornimento di carburante nella città israeliana di Ashdod, provoca un'esplosione, un incendio e tre feriti di cui uno molto grave. È questo il danno più grave provocato ieri dall'attacco rivendicato da Hamas contro la cittadina portuale che sorge a meno di 30 chilometri dal territorio palestinese governato dagli integralisti islamici. Poi ci sono le minacce sempre più truculente, come quella rivolta sotto forma di «avvertimento» alle compagnie aeree internazionali di non volare sull'aeroporto israeliano Ben Gurion, perché «è uno dei nostri obiettivi», e le decine di razzi lanciati su Tel Aviv e neutralizzati dal sistema protettivo «Iron Dome».
Dall'altra parte del fronte di questa guerra aerea che rischia da un momento all'altro di diventare terrestre ci sono i circa cento morti palestinesi provocati dagli oltre mille raid dell'aviazione israeliana sulla Striscia. Gli obiettivi sono collegati a Hamas, sono i punti di lancio dei missili, le abitazioni dei capi, i luoghi dove si ritiene che vengano custodite le armi: ma in una città-formicaio di circa due milioni di abitanti è facile che a pagare con la vita siano anche i civili, come anche ieri è purtroppo accaduto drammaticamente in diversi casi.

Il conflitto che tutti, dall'Onu al presidente americano Obama che offre una tardiva mediazione, dai leader europei al Vaticano dicono di voler fermare, è insomma in piena escalation e l'ipotesi di invasione della Striscia è sempre più concreta e imminente. «Nessuna pressione internazionale ci impedirà di agire con tutta la necessaria potenza e Israele sa che farò tutto per la nostra sicurezza», scandisce il premier israeliano Netanyahu mentre Benny Gantz, capo di stato maggiore delle forze armate, si dice pronto all'azione e in attesa solo di un ordine politico per l'attacco terrestre a Gaza.

Mahmoud al-Zahar, dirigente di Hamas, replica assicurando che il movimento islamico è pronto a una «guerra di mesi». «Questa volta sarà diversa dalle altre, perché il popolo palestinese è unito e il nemico non si fermerà se non alle nostre condizioni», promette. Ma la minaccia più forte riguarda l'ipotesi di invasione: «Israele non oserà attuarla - provoca il leader di Hamas - ma se lo facesse noi uccideremo i suoi soldati e li rapiremo».

Nell'angosciante attesa di sviluppi ancor più violenti della situazione, uno degli effetti politici certi provocati dal conflitto tra israeliani e Hamas è il congelamento, almeno a parole, del processo di normalizzazione tra la Turchia e Israele. Il premier turco Erdogan rispolvera toni da sultano ottomano e condanna «le menzogne» della dirigenza dello Stato ebraico. «Israele dice che Hamas lancia dei razzi. Ma che è morto qualcuno?», ha esclamato Erdogan intervenendo davanti a un gruppo di suoi sostenitori a Istanbul, prima di aggiungere: «Il numero di palestinesi che avete ucciso adesso è di cento. La vita di Israele è fondata sulla menzogna. Non è onesto».

Se non ci fosse Iron Dome questo discorso non starebbe in piedi, ma l'«onesto» Erdogan finge di non saperlo.

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