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Il nuovo colpo al cuore della Libia

Quello di questo martedì è il terzo attentato a Tripoli in pochi mesi contro edifici governativi: ancora una volta il fragile governo di Al Sarraj punta il dito contro l'Isis, ma al momento non ci sono rivendicazioni.

Il nuovo colpo al cuore della Libia

Prima la sede della commissione elettorale, poi l’ufficio principale della Noc, la compagnia petrolifera di Stato, adesso tocca al ministero degli Esteri. Quello tenuto nel cuore della mattinata di questo 25 dicembre, è il terzo attentato a Tripoli mirato a colpire alcune delle più importanti istituzioni impegnate nel difficile cammino di riappacificazione della Libia. In comune i tre attentati hanno non pochi elementi: in primis, il prendere di mira sedi istituzionali o di società di Stato, così come il colpire il cuore di Tripoli e l’utilizzo di attentatori kamikaze.

Ecco perché dalla Libia si parla apertamente di “Daesh”, l’acronimo arabo di Isis. Sono i miliziani del califfato ad essere i primi sospettati di questo nuovo attacco che, come detto, questa volta prende di mira il ministero degli Esteri. Proprio come per l’attentato dello scorso 10 settembre presso la sede della Noc, anche in questo caso non arrivano in realtà precise rivendicazioni. Sono le autorità a puntare il dito contro i terroristi fedeli ad Al Baghdadi. Lo fa in primo luogo Fathi Bishaga, potente ministro dell’interno nominato ad ottobre da Al Sarraj ed accostato in più di un’occasione alla Fratellanza Musulmana: “Dai dati raccolti – dichiara il titolare del ministero in una conferenza stampa – sembrerebbe che gli attentatori abbiano origine sub sahariana”. Un chiaro riferimento alle cellule dell’Isis attive nel sud della Libia, lì dove tra le dune del Sahara sarebbero riuscite ad allestire anche campi e basi di addestramento.

Come riporta il sito AddressLibya, Bishaga nell’incontro con i giornalisti locali, tenuto a poche ore dal drammatico attentato di questo martedì, non si limita semplicemente a chiarire la dinamica dell’accaduto. Al contrario, il ministro dell’interno ammette carenze e falle nella sicurezza di Tripoli, affermando la difficoltà per le forze presenti nella capitale di operare: “Serve una ristrutturazione degli apparati di sicurezza – afferma Bishaga – Verranno divisi in dipartimenti sotto le dipendenze del ministero, uno specifico dipartimento verrà dedicato alla lotta contro il terrorismo”. In realtà a Tripoli da tempo si è ben coscienti della disorganizzazione delle forze di sicurezza, spesso ricollegabili a specifiche milizie in equilibrio precario tra loro come dimostrato dagli scontri di settembre accaduti proprio nella capitale. Le milizie più importanti alle dipendenze del ministero dell’interno, sono raggruppate all’interno della sigla “Rada” ed alcune di esse sono accusate di ricattare lo stesso governo che dovrebbero difendere. Che però sia lo stesso ministro dell’interno ad ammettere l’esistenza di un problema quanto meno organizzativo, sotto il profilo politico è un passaggio di non poco conto.

Sempre su AddressLibya inoltre, lo stesso Bishaga lancia accuse pesanti ma non specifiche contro non meglio precisati “attori stranieri”: “Abbiamo informazioni che mostrano rapporti diretti tra le intelligence di alcuni paesi esteri ed i terroristi operanti in Libia – dichiara il ministro degli interni – Lo abbiamo fatto presente direttamente a chi di dovere”. Sembra quasi che l’esplosione avvenuta all’interno del ministero degli esteri, abbia scosso tanto fisicamente le mura dei palazzi del governo quanto politicamente le stanze dei bottoni tripoline.

Intanto i media libici, che sia ad ovest che ad est del paese stanno dando ampio risalto all’attacco odierno, aggiornano il bilancio dell’attentato: tre le vittime, tra cui il diplomatico Hibraim Shibani, molto noto all’interno del panorama politico del paese africano. Le vittime in totale potrebbero essere otto: oltre ai tre civili, ci sarebbero i cinque attentatori. Due di questi si sono fatti saltare in aria all’interno del ministero, gli altri tre sono invece stati uccisi dalle forze di sicurezza. Tutti e cinque sono entrati nell’edificio dopo lo scoppio di un’autobomba.

Dinamica per l’appunto drammaticamente simile a quelle degli attentati contro la commissione elettorale e contro la sede della Noc. Nel primo caso ad essere presa di mira è l’istituzione che più da vicino sta curando il delicato e difficile processo elettorale, il quale dovrebbe culminare (ma il condizionale è ovviamente d’obbligo) con il voto in primavera. Nel secondo caso invece, i terroristi prendono di mira l’azienda più importante della Libia, essendo la stessa da cui passano i contratti inerenti le esportazioni di petrolio e che al momento è anche l’unica a non aver risentito della frammentazione del paese dopo l’uccisione di Gheddafi.

L’attacco al ministero degli Esteri si può inquadrare dunque nel contesto di un rafforzamento del terrorismo in Libia, specie di matrice islamista ricollegabile alle attività dell’Isis. Un pericolo più volte sottolineato nelle ultime settimane, anche alla luce di alcuni importanti attacchi avvenuti non solo a Tripoli ma nel sud del paese.

L’azione dei kamikaze contro il ministero appare ancor più drammatica e significativa sia perché avvenuta nel cuore del potere tripolino, sia per la tempistica usata dai terroristi: l’attentato infatti avviene il giorno successivo alla festa nazionale per l’indipendenza e ad appena due giorni dalla visita del presidente del consiglio Giuseppe Conte in Libia.

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