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Quei volontari italiani in guerra coi filorussi

Un pugno di ragazzi con provenienza e storie di vita diverse fra loro, ma tutti concordi che nel difendere l’Europa dall’imperialismo e anche un po’ da se stessa, oggi, si debba combattere con Mosca. Ecco chi sono

Quei volontari italiani in guerra coi filorussi

Sulla linea del fuoco, nel Donbass, a difesa delle regioni separatiste dell’est ucraino, combatte una squadra di volontari italiani. Un pugno di ragazzi con provenienza e storie di vita diverse fra loro, ma tutti concordi che nel difendere l’Europa dall’imperialismo e anche un po’ da se stessa, oggi, si debba combattere con Mosca. Per questo ora sono qui difendere le Repubbliche Popolari ribelli della Novorossia dalle forze lealiste mandate da Kiev e come dicono loro, da Washington. Sono arrivati nel Donbass nei modi più diversi, c’è chi già era in Russia e chi ha lasciato tutto per arrivarvi. Ricevono una paga da fame ma in battaglia riescono a fare la differenza. Nelle strade di Lugansk, la gente li guarda passare stupita di veder pendere le medaglie conquistate sul campo, da petti da cui esce una lingua tanto strana.

Il primo ad arrivare nel Donbass è stato Andrea, lucchese doc, arrivato quando la sorte sembrava aver girato le spalle ai ribelli della Novorossia: “Ora è molto migliore la situazione”, mi dice, ”Quando sono arrivato ho fatto sette mesi al fronte di fila combattendo quasi senza sosta, sono stato a Debaltsevo, è stata dura”. A fermarlo a quel tempo ci ha pensato il rigido inverno ucraino e un principio di congelamento agli arti inferiori che l’ha incatenato ad un letto di ospedale per settimane. Tuttavia Andrea ha una personalità esplosiva e proprio da quell’ospedale appena rimessosi in sesto stringe legami con i medici e conosce i deputati dell’ amministrazione della Repubblica di Lugansk, decide che mentre è in congedo può organizzare gli aiuti umanitari e gestire le donazioni che intanto, da tutta Europa, Italia compresa, arrivano per sostenere la Novorossia. Il giorno in cui arrivo a Lugansk, dopo un viaggio infinito, lui mi viene a prendere alla stazione dei pullman con la sua auto targata Firenze nel cui cofano ha stipato decine di pacchi alimentari che distribuisce alle famiglie che a causa di questa guerra hanno perduto tutto.

“Sono pronto a combattere se la guerra tornerà a minacciare la città ma per ora vedo che il mio lavoro umanitario è molto più utile, la popolazione della repubblica di Lugansk è la prima vittima di questa guerra”. Anche per lui su questo fronte si sta combattendo qualcosa che va oltre la geopolitica: “Qui si combatte per la tradizione europea contro l’Occidente corrotto e deviato, in Europa non rispettiamo più nessun valore né familiare né religioso qui invece la gente è più semplice magari, ma non ha dimenticato i valori fondamentali”. Intorno al suo collo c’è una catenella d’oro da cui pende un Crocefisso ortodosso, mi racconta che prima di essere mandato al fronte è entrato in una chiesa del posto e ha chiesto di essere battezzato. Spartaco invece la mimetica non se la leverebbe di dosso per nulla al mondo, lui è venuto qua giù per combattere e lo fa al massimo delle sue capacità attingendo all’esperienza maturata in patria da alpino e da paracadutista. Non è la prima guerra che vede, è stato in Bosnia e nei Balcani con la missione italiana. Appuntata sul petto, sfoggia una decorazione particolare, è una medaglia al valore conquistata sul campo, presa per aver mantenuto la posizione nonostante la soverchiante offensiva nemica. Gli altri ragazzi l’hanno ribattezzato ironicamente “Airport”, perché l’ha ottenuta battendosi nella battaglia dell’ aeroporto di Donetsk dove per tre giorni, senza sosta le forze di sicurezza ucraine e i battaglioni della guardia nazionale, si sono scontrati in una sorta di “sparatoria da far west” contro la milizia popolare della Novorossia. Colpito da alcune schegge di artiglieria al piede e alla gamba, ha comunque tenuto la postazione nonostante tutti quelli che erano con lui fossero morti o feriti, mi dice di aver visto il suo comandate spazzato via da un’ esplosione e mi confessa d’aver creduto di morire laggiù. Si professa socialista e patriota ma “lo schifo” che vede ora in Italia non gli fa certo rimpiangere la scelta d’essere partito volontario. Qui, dice, “ho ritrovato valori che in Italia non ci sono più” e che solo una rivoluzione in Italia lo potrebbe fare tornare. Con lui è arrivato in Donbass anche Gabriele, come Spartaco arrivato dal nord dell’Italia aiutato dai volontari delle organizzazioni umanitarie. Ha firmato un contratto da miliziano anche lui. Non è stata una scelta facile mi dice, “In Italia non mi mancava nulla, avevo lavoro, casa e amici, abbiamo tante di quelle comodità che non ce ne accorgiamo finchè, non le lasciamo ed io ho rifiutato una vita comoda”. Ha ventisette anni e ama l’avventura, mi confessa d’aver pensato alla Legione Straniera e di aver anche tentato di diventare legionario, ma solo ora qui nella Novorossia ha trovato la sua battaglia perché “qua sai che fai qualcosa di giusto, di buono”.

È convinto che la tregua firmata a Minsk non reggerà, due suoi commilitoni sono morti proprio durante la tregua colpiti da una salva di mortaio e crede che anche da parte loro la risposta non si farà attendere. Gli chiedo se sa che anche dalla parte opposta della “barricata” ci sono italiani che combattono e lui ammette che, anche se nemici, ha stima per “chi ci mette la faccia e rischia in prima persona”, molto più di chi chiacchera da casa e magari gli fa i complimenti dal salotto. In ogni caso, però, anche se dovesse incontrare un italiano in battaglia, farebbe il suo dovere di soldato. A completare il trio degli italiani che vestono l’uniforme dell’armata popolare della Repubblica di Lugansk c’è Antonio. Viene da Chiusano vicino Avellino e del mestiere delle armi, lui, ne ha fatto una professione. Mi dice che ha all’attivo numerose missioni come “contractor” e di essere stato in Libia e in Medio oriente, è un professionista esperto di guida evasiva, di incursioni e scorte ha fatto training speciali in Russia e Kazakistan ed ora è “venuto a mettere questa professionalità al servizio della popolazione del Donbass”. Dice che di politica non ci capisce nulla ma che non gli piace ciò che succede qua con le bombe che cadono sempre troppo frequentemente sui civili inermi. “Non sono un mercenario, e neanche un foreign fighters al massimo mi sento un freedom fighters perché combatto per la libertà di queste persone”. Ultimo ad arrivare a Lugansk è stato Vittorio da Lecco, parla il russo perfettamente e grazie a questo è stato reclutato nella locale agenzia stampa della città.

Traduce i bollettini di guerra e le notizie dal fronte in Italiano perché sa che questa è anche una battaglia mediatica e che la propaganda serve tanto quanto le munizioni in una guerra. La redazione in cui lavora ha occupato gli uffici di un palazzo di fronte allo stadio Avangard di Lugansk e sulle pareti dei corridoi e della sua stanza ci sono ancora i buchi lasciati dalle raffiche di AK.“ Le informazioni su questa guerra ci sono se si cerca con onestà diffidando dei media occidentali, ci sono registrate tutte le violazione della tregua di Minsk che di fatto non esiste” . Anche lui è arrivato nel Donbass per vestire la mimetica e imbracciare un fucile ma per l’agenzia è un elemento prezioso e non lo lasceranno andare al fronte facilmente, preferiscono dargli un eletto di kevlar e un giubbotto e girare con lui i luoghi dei bombardamenti per intervistare la popolazione e registrare le violazioni ai trattati. “Durante la guerra nel Donbass hanno perso la vita oltre 200 bambini, di cui 45 solo a Lugansk. La triste conta, si allunga giorno dopo giorno. Siamo gia’ a 17 bambini nel 2015. Ad avere sofferto ed a riportare contusioni o traumi, sono circa 2 milioni. 491 sono le scuole colpite, 78 gli ospedali e 4 asili. ” Girando a prendere informazioni vede cose orribili, vede il volto crudele della guerra, quello vero, quello senza romanticismo né ideologie, quello che non parla di gloria o di vittoria, il lato buio e oscuro come lo sguardo di quel bambino della periferia di Lugansk che non ha più il coraggio di aprire gli occhi, perché ha visto il padre e la sorellina diventare cenere quando una salva di mortaio è entrata dal tetto strappando un braccio alla mamma.

Mi racconta queste cose e la rabbia gli fa tremare la voce: “Siamo sulla trincea d’Europa” mi dice, “non potevo restare a guardare”.

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