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Sì al velo, no a trucco e tattoo: le regole islamiche di Ankara

Il nuovo codice di stile per le studentesse turche mette al bando piercing, maquillage e tatuaggi. E sul capo niente cappelli o berretti: è ammesso solo il simbolo religioso

Sì al velo, no a trucco e tattoo: le regole islamiche di Ankara

C'è un qualcosa di macabro nell'ultima provocazione del governo turco. Non è più solo islamizzazione forzosa o una guerra ideologica ai social network : questa volta Erdogan l'ha fatta grossa, perché ha messo mano alla regole di abbigliamento e di condotta nelle scuole medie e superiori, con divieti e prescrizioni che sanno di privazione palese della libertà. Un pugno in faccia alla singola determinazione individuale a soli 13 mesi dai massacri di Gezi Park e dalle piazze del Paese che urlavano tutto il proprio dissenso contro uno Stato democratico a parole, ma dittatoriale nei fatti.

Secondo il nuovo codice di abbigliamento pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, il governo di Ankara da un lato ha abolito il divieto per le giovani di indossare il velo islamico tra i banchi delle scuole medie e superiori e dall'altro ha proibito alle studentesse di truccarsi, di farsi tatuaggi o piercing. Nel contestato decalogo pubblicato sul quotidiano Hurriyet si legge che «devono presentarsi a scuola con il volto visibile: non possono usare sciarpe, berretti, cappelli, borse o altri accessori con simboli politici o scritte; non si possono tingere i capelli, non possono avere tatuaggi né sfoggiare il trucco; non possono avere piercing, né baffi né barba». Capitolo velo. Rimane off sino alle scuole elementari, così come annunciato dal vice premier Bulent Arinc, scatenando un vespaio di polemiche, dal momento che tale divieto risale allo stato laico voluto dal fondatore della Turchia moderna, Musfata Kemal Ataturk. Per cui il «turban» era ammesso solo nelle scuole religiose, mentre nelle università il divieto era stato abolito con una riforma costituzionale adottata nel 2008 dal governo islamico dell'allora premier e attuale presidente Recep Tayyip Erdogan. Una condotta abolita da una sentenza della Corte Costituzionale che annullò il provvedimento.

Una deriva illiberale che pare non avere fine: prima della battaglia strumentale contro i social network da parte dell'allora premier Erdogan, anche si dice per nascondere un video hard che ritrarrebbe il premier con la bella ex miss Turchia Defne Samyeli, il governo turco nell'ultimo anno si è distinto per la reazione scomposta e violenta contro i manifestanti a Gezi Park, con una repressione armata che ha provocato morti e feriti. Poi è stata la volta della crociata contro YouTube e Twitter , a seguire l'apertura di un carcere speciale per omosessuali annunciato lo scorso maggio dal ministro della Giustizia Bekir Bozdag. Passando per l'attuale neo-premier, l'ex ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu, su cui sono calate le pesanti ombre di un pamphlet in cui teorizzò il neo-ottomanismo: nel libro Profondità Strategica teorizza una nuova veste per la diplomazia turca, basata sull'Islam e sul passato ottomano della Turchia, al fine di incarnare nuovamente il ruolo di potenza regionale.

E ancora, le minacce alle aziende internazionali che avessero collaborato con Cipro, una visione islamica della politica, senza dimenticare gli scandali che hanno riguardato tutto il governo turco lo scorso inverno e che ha portato ad un maxi rimpasto senza un passaggio parlamentare. Il tutto mentre Ankara mantiene a Cipro ben 50mila militari. Ultimo dato, in ordine di tempo, la timidezza con cui la Turchia, membro della Nato, ha affiancato gli Usa nella guerra all'Isis, in una macro contraddizione politica. E 20 giorni fa in un tweet, il segretario generale della CSU Andreas Scheuer, ha scritto: «La Turchia di Erdogan non ha un posto in Europa». Che abbia ragione?

twitter@FDepalo

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