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Sfregio jihadista: distrutta la Chiesa verde

Fatto esplodere a Tikrit un monumento millenario del cristianesimo. Giustiziata un'attivista che si era opposta

Sfregio jihadista: distrutta la Chiesa verde

I video raccapriccianti che mostrano le gole tagliate di ostaggi innocenti, le brutalità su larga scala commesse nei territori finiti sotto il controllo delle milizie, le minacce di massacri indiscriminati nei Paesi occidentali. Tutte queste nefandezze ottengono giustamente la massima attenzione sui mezzi d'informazione, ma non bisogna dimenticare che i forsennati del cosiddetto Califfato si macchiano di colpe gravissime anche quando non fanno grondare il sangue: è il caso della sistematica distruzione dei luoghi di culto cristiani, ma anche di quelli musulmani che lo «Stato islamico» considera impuri perché non corrispondenti alla sua visione della religione maomettana.

Così nei mesi scorsi i miliziani di al-Baghdadi si erano già abbandonati a devastazioni nel nord dell'Iraq e in particolare a Mosul e dintorni, accanendosi sui templi cristiani ma anche su quelli della minoranza yazida e su alcune sepolture islamiche diventate nel corso dei secoli oggetto di una venerazione che essi, fedeli a una lettura radicale del Corano secondo cui le tombe dei «martiri dell'Islam» non devono essere onorate per evitare una deriva idolatrica, vogliono impedire. La furia jihadista si è abbattuta contro le tombe dei profeti a Mosul. Hanno fatto esplodere la moschea dove sorgeva la tomba del profeta Seth, risalente al 1057, e in precedenza quelle di altri due profeti, Giona e Daniele.

Ieri la triste storia si è ripetuta nella città di Tikrit, conosciuta per aver dato i natali al defunto dittatore iracheno Saddam Hussein: i jihadisti hanno inzeppato di esplosivo l'antichissima (risaliva al settimo secolo) e imponente «Chiesa verde», principale testimonianza della comunità cristiana assira un tempo numerosa e influente ma ormai da secoli scomparsa in questi luoghi, e l'hanno fatta saltare distruggendola completamente nonostante fosse da lungo tempo abbandonata. È così andato perduto un simbolo di alto valore anche artistico del passato splendore del cristianesimo in Mesopotamia.

Gli armati dell'Isis non si sono limitati a questo crimine. Hanno anche distrutto nelle vicinanze la storica moschea Wali Arbaïn, nota per essere il luogo di sepoltura di 40 personalità dell'Islam, fra cui i compagni del profeta Maometto. Non basta: ieri sera si è appreso che i fanatici integralisti hanno anche giustiziato in una piazza di Mosul la nota attivista dei diritti umani Hana Edward, che si era opposta alla devastazione dei luoghi di culto.

Atti come questi hanno spinto ieri il presidente iraniano Hassan Rohani ad accusare l'Isis di avere «come vero obiettivo la distruzione della civiltà». Rohani lamenta che gli eccessi sanguinari e iconoclasti dell'Isis abbiano come effetto «l'incremento dell'islamofobia e l'apertura della strada all'intervento di forze straniere» nella regione, un intervento che Teheran respinge. Rohani, a nome di un Iran che molti osservatori occidentali tendono ormai a considerare un alleato di fatto nella lotta contro l'Isis, ha denunciato ieri all'Onu «l'errore strategico» compiuto dagli Stati Uniti nel mettere insieme una coalizione internazionale. Lo fanno per mantenere la loro egemonia nella regione - ha dichiarato Rohani -. Ma li metto in guardia: se non raccogliamo oggi tutte le nostre forze contro l'estremismo e la violenza e non confidiamo in chi può essere d'aiuto nella regione, il mondo di domani non sarà sicuro per nessuno». L'offerta di collaborazione sottesa a queste parole è condizionata però a un'intesa sul nucleare iraniano che a molti pare un prezzo troppo alto da pagare.

Washington ha inatnto diffuso la notizia dell'identificazione del jihadista che ha decapitato gli ostaggi dell'Isis James Foley, Steven Sotloff e David Haines.

Il nome rimane però top secret.

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