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Il Sudan, dalla guerra in Darfur all'incubo Isis

Terra di repressione e radicalismo, di violenza e traffici, di morte e impunità, il Paese è ora terrorizzato dallo spettro del Califfato

Il Sudan, dalla guerra in Darfur all'incubo Isis

Terra di repressione e radicalismo, di violenza e traffici, di morte e impunità. Ecco il Sudan, il Paese della guerra del Darfur, dei bombardamenti a tappeto sui Monti Nuba, dei profughi e del dittatore Omar al-Bashir. Nel cuore dell'Africa, là dove la guerra è un imperativo di condotta e il Presidente governa nonostante un mandato di cattura internazionale e una condanna per crimini contro l'umanità, un nuovo incubo però si materializza tra le sabbie infuocate: l'Isis. Imam che allungano la mano ai profeti del Califfato, studenti che si arruolano e partono per la Siria e poi cellule jihadiste a Khartoum e con legami in diversi stati africani. Uno scenario che emerge poco a poco ma che non lascia indifferenti.

Nonostante il Paese africano negli anni '90 sia stato un'incubatrice di movimenti estremisti islamici e benché lo stesso governo abbia assunto posizioni radicali in ordine a questioni religiose, oltre ad essere stato inserito nella black-list americana, oggi però lo spettro dello Stato Islamico terrorizza. Un crocevia del jihadismo africano, cerniera tra la Somalia di Al-Shabab, il magreb infuocato e la Nigeria di Boko Haram è ciò che temono gli analisti. Ma la bandiera nera degli uomini in passamontagna preoccupa il regime anche in un'ottica di politica interna: la situazione economica in ginocchio, la presenza di gruppi guerriglieri e una gioventù avida di cambiamento sono tutti fattori che, se incendiati dal combustibile dell'IS, possono portare a una destabilizzazione del Paese.

Fino ad ora quello che è certo è che volti e pensieri che hanno sposato la causa di Al-Baghdadi non mancano. A marzo un gruppo di nove studenti di medicina, provenienti dalla Gran Bretagna, ma di origini sudanesi e che stava completando i propri studi all'università di Khartoum, era partito per entrare nel Daesh e dare supporto medico nei territori sotto controllo dell'Isis. Una settimana fa è arrivata la notizia che un nuovo gruppo composto da 16 studenti, facenti sempre parte dell'ateneo privato University of Medical Sciences and Technology ha abbandonato il Paese per raggiungere la Siria. Il proselitismo avanza, colpisce nelle scuole ma dà vita anche a cellule combattenti come dimostra l'arresto di un gruppo di terroristi a Port Sudan a giugno. Quattro uomini, di cui un eritreo e tre mediorientali affiliati all'IS, stando a quanto riporta il Sudan Tribune, sono stati trovati in possesso di esplosivo e il loro compito era quello di arruolare uomini e svolgere attività di contrabbando attraverso il Mar Rosso. Inoltre, il terreno fertile in cui i predicatori dello stato Islamico stanno cercando di far germogliare nuovi adulatori del terrore paiono essere le Moschee. A sostegno di ciò, le parole dell'Imam Mohamed Alì al-Gizouli, che dopo 8 mesi di carcere, arresto avvenuto per le posizioni di aperto sostegno all'ISIS, ha dichiarato: «Sono stato onorato da Allah quando sono stato arrestato 240 giorni fa per la mia chiamata a resistere contro l'intervento statunitense nel nostro mondo islamico e per l'appoggio agli jihadisti in Iraq e in Levante». E un nome sopraggiunge dalle terre del Califfato e viene pronunciato come un epicedio di gloria dagli uomini dell'Isis: si tratta di Abu-al-Fida al-Sudani, il primo sudanese morto tra le fila del Daesh a Raqqa.

La sua vera identità è nascosta da quello pseudonimo di guerra, che nulla lascia trasparire nel vissuto di quell'uomo, di cui si può solo immaginare un passato questuante di vita, trovata nella tautologia dei dogmi della morte data e ricevuta.

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