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Via al summit della discordia: così l’Europa rischia tutto

Tusk: "Dobbiamo decidere chi può entrare". I 28 Stati divisi sul regolamento di Dublino e la gestione degli sbarchi

Via al summit della discordia: così l’Europa rischia tutto

L’ora X arriva al termine delle due settimane più convulse e minacciose per l’Unione europea. «La posta in gioco è molto alta e c’è poco tempo. Dobbiamo decidere chi può entrare in Europa» spiega Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo.

L’appuntamento potrebbe rivelarsi «uno spartiacque» grazie al contributo dell’Italia, spiega tra il fiero e l’ottimista il primo ministro italiano Giuseppe Conte, al suo debutto. In realtà il rischio flop è dietro l’angolo nel teatro del Consiglio europeo di oggi e domani, con il dossier immigrazione che ha buone probabilità di mandare gambe all’aria le migliori intenzioni dei 28 leader riuniti a Bruxelles.

L’Italia minaccia di far saltare il tavolo e non firmare le conclusioni finali, per le quali serve unanimità, se non passerà il principio di responsabilità condivisa. Cinque i temi all’ordine del giorno: sicurezza e difesa, economia e finanze, Brexit, euro e - in cima all’agenda - il capitolo cruciale della «migrazione», che secondo le migliori intenzioni dei vertici europei dovrebbe portare alla riforma del sistema comune di asilo. Ma eccola la vera impresa. Alla vigilia del summit, i punti di disaccordo restano ancora profondi, gli insulti fra Paesi sempre più frequenti (ieri nuovi attacchi di Matteo Salvini a Emmanuel Macron), il solco tra Francia e Italia appare una voragine (e chissà se l’incontro del premier Conte lunedì con il leader dell’Eliseo ha ricucito qualche strappo), mentre la cancelliera Merkel combatte in casa contro il rischio di caduta del suo governo e l’avvicinamento del suo ministro dell’Interno e principale spina nel fianco Horst Seehofer all’Austria della linea dura del cancelliere Sebastian Kurz. Così, mentre Conte ricorda come «da anni l’Italia salvi l’onore dell’Europa nel Mediterraneo» e insiste sul superamento del regolamento di Dublino, «che non va riformato, ma ripeto, va superato», alti funzionari dell’Unione europea, dietro anonimato, fanno sapere che «sulla riforma delle regole di Dublino non solo non c’è consenso» ma nemmeno «una maggioranza qualificata».

Tutto in alto mare, insomma. E sotto il peso di un’altra minaccia: la possibile «chiusura della frontiera tra Germania e Austria e tra Austria e Italia», dicono ancora fonti di Bruxelles. La Csu alleata della cancelliera ha posto alla leader tedesca un aut aut e pretende garanzie sugli spostamenti dopo l’approdo via mare nei Paesi di prima accoglienza. Pena la chiusura delle frontiere e i respingimenti su provvedimento del ministero dell’Interno. Per andare incontro all’Italia ed evitare che tutto il peso degli arrivi ricada sul nostro Paese, nella bozza delle conclusioni circolate alla vigilia il Consiglio si impegna «a sostenere lo sviluppo del concetto di piattaforme regionali di sbarco, in stretta cooperazione con i Paesi terzi interessati come pure l’Unhcr (l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) e l’Oim (Organizzazione mondiale per le migrazioni)». In questo modo si potrebbe ottenere anche «un esame rapido e sicuro per distinguere tra migranti economici e chi ha bisogno della protezione internazionale». Buoni propositi che rischiano di infrangersi di fronte alle pretese dei singoli Stati.

Con Tusk che fotografa gli umori popolari: «Sempre più persone pensano che solo un’autorità forte, anti-europea e anti-liberale, con tendenze autoritarie e risposte semplici, estremiste e attraenti sia capace di fermare l’ondata migratoria illegale».

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