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Thailandia, i musulmani Malay: "Stop alle violenze"

Awang Jabal, leader di “Mara Patani” una sigla che racchiude sei gruppi separatisti musulmani ha chiesto di riaprire i negoziati

Thailandia, i musulmani Malay: "Stop alle violenze"

In una conferenza all’Hotel Premiera, nella periferia di Kuala Lumpur, in Malesia, Awang Jabal, leader di “Mara Patani” – una sigla nata nell’ottobre del 2014 che racchiude sei gruppi separatisti musulmani che insanguina la Thailandia del Sud da decenni - ha chiesto di riaprire i negoziati di pace con il governo.

“Il nostro obiettivo – ha spiegato Awang Jabal alla conferenza stampa dove hanno partecipato anche giornalisti thailandesi - è quello di trovare una soluzione pacifica attraverso il dialogo e promuovere una pace duratura”. In cambio, “Mara Patani” ha fatto diverse richieste. “In primo luogo Bangkok deve mettere i negoziati di pace sul programma nazionale” in modo che, “il processo di pace non venga mai interrotto come è stato fatto dopo la crisi politica del 2014”, che ha portato al colpo di stato. E poi ha richiesto l’immunità legale per i propri dirigenti.

“Mara Patani”, ha ammesso il proprio coinvolgimento nelle violenze contro le forze di sicurezza thailandesi, ma ha puntualizzato che non ha mai voluto prendere di mira i civili. “A volte – ha spiegato il numero uno delle coalizione - gli obiettivi civili sono rimasti colpiti, ma non intenzionalmente. Sono vittime di danni collaterali”.

Awang Jabal ha poi aggiunto: “Vorremmo sottolineare che la nostra lotta per l’indipendenza rimarrà il nostro obiettivo. Tuttavia siamo pronti ad andare al tavolo delle trattative per trovare una soluzione che darà il diritto di autodeterminazione al nostro popolo”.

“Mara Patani” è un contenitore di sei gruppi armati delle tre province meridionali ribelli di Pattani, Narathiwat, Yala: il “National Revolutionary Front” (BRN), l’“Islamic Mujahidin Movement of Patani” (GMPI), l’“Islamic Liberation Front of Patani” (BIPP) e altre tre organizzazioni legate al “Patani United Liberation Organization” (PULO). Ma Awang Jabal, come sottolineano diversi studiosi del conflitto considerato a “bassa intensità”, non può parlare a nome di tutti i gruppi armati presenti nell’area.

La guerriglia separatista della Thailandia del Sud ha radici antiche. Un tempo, queste zone abitate dall’etnia Malay, formavano il sultanato di Pattani, poi annesso al Regno del Siam a inizio Novecento. L’attività ostile di questi gruppi va avanti da decenni ma ha avuto un significativo incremento nel 2004 dopo quello che viene chiamato il “Massacro di Tak Bai”, dove la repressione della polizia thailandese provocò la morte di più di settanta persone.

La maggioranza di questi gruppi armati - più di venti differenti - richiedono l’autonomia, ma una minoranza vorrebbe l’annessione alla Malesia. E non è un caso che la conferenza sia stata indetta proprio a Kuala Lumpur che, negli anni, ha sempre cercato di fare da mediatore per far cessare le violenze.

Intanto, mentre le indagini per la strage di lunedì 17 agosto a Bangkok - che ha causato la morte di oltre venti persone e circa centocinquanta feriti - sono ancora in alto mare e dove non è possibile escludere nessuna pista, sui social network la dichiarazione degli indipendentisti del sud sta creando molte discussioni e punti interrogativi.

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