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Tutti quei segnali inascoltati sulla Londra "radicalizzata"

In aree come la East End londinese, Birmingham, Leicester venivano più volte segnalate attività di soggetti radicali, ma oramai il fenomeno sembra diventato parte integrante di quel contesto socio-culturale che è andato a sostituirsi a quello britannico

Tutti quei segnali inascoltati sulla Londra "radicalizzata"

Si può far finta di non vedere la realtà, ma poi non si possono evitarne le conseguenze e l’attentato di ieri a Londra ne è un chiaro esempio. Il radicalismo in diverse zone dell’Inghilterra era da tempo in aumento e questo è un dato di fatto. In aree come la East End londinese, Birmingham, Leicester venivano più volte segnalate attività di soggetti radicali, ma oramai il fenomeno sembra diventato parte integrante di quel contesto socio-culturale che è andato a sostituirsi a quello britannico. Dei veri e propri ghetti dove più che in Europa sembra di essere in qualche villaggio del Pakistan, con i negozi che in alcune zone chiudono cinque volte al giorno per permettere ai fedeli di andare a pregare; con personaggi con tunica e barba che fanno dawa in strada e distribuiscono volantini che hanno ben poco di religioso e molto di militante. Ci sono poi le “sharia courts”, i tribunali islamici che stanno oramai diventando un sistema giuridico parallelo a quello britannico, disponibile per tutti coloro che vogliono rivolgervisi. Ci sono i predicatori radicali come Anjem Choudary, lasciato libero di predicare liberamente per tanto, troppo tempo, prima di essere arrestato la scorsa estate per supporto ideologico all’Isis. La Gran Bretagna è stata per anni patria di Omar Bakri Muhammad, Abu Hamza, Abu Qatada, sede europea dei Fratelli Musulmani. Insomma, l’estremismo islamista in Gran Bretagna è da tempo un problema e forse a Londra c’è chi si era costruito delle illusioni sul fatto che magari, lasciando autonomia e non imponendo integrazione, l’estremismo non avrebbe colpito, ma la realtà è ben differente, come dimostrarono già a suo tempo gli attentati del 2005, un segnale evidentemente mai colto adeguatamente, come del resto in altri Paesi europei dove si è sottovalutata l’infiltrazione islamista.

L’attentato di ieri a Westminster è l’ennesimo segnale, così come i tanti like e faccine sorridenti pubblicati dagli spettatori dell’emittente televisiva del Qatar, al- Jazeera, vicina alla “resistenza” siriana e ai Fratelli Musulmani, alla notizia dell’attacco di ieri. Un segnale chiaro: l’islamismo radicale ha da tempo dichiarato guerra a tutti coloro che vi si oppongono e, come illustra il Generale Mario Mori nel suo libro “Oltre il Terrorismo”, bisogna avere il coraggio di dire all’opinione pubblica che di guerra si tratta, perché allora tutto diventa più chiaro e comprensibile. A questo punto sarà possibile delineare una linea d’azione operativa netta e continuativa, sostenuta da scelte politiche ben precise e prive di ambiguità. Ieri a Westminster le cose potevano diventare ben più drammatiche. I morti purtroppo ci sono stati ed è stato sufficiente un Suv e un’arma bianca; una strategia operativa già vista più volte e in linea con le direttive di al-Baghdadi. È però lecito domandarsi come mai l’attentatore abbia deciso di colpire un hard-target come Westminster, altamente sorvegliato ed estremamente difficile da penetrare, soltanto con coltello e usando un autoveicolo come ariete. Era prevedibile che non sarebbe mai andato oltre il primo cordone di sorveglianza, dunque perché non optare per un soft-target dove avrebbe massimizzato il numero delle vittime? Vi è poi il mistero sull’identità dell’attentatore, inizialmente identificato come Abu Izzedin, ma poi smentito. La somiglianza fotografica tra l’attentatore portato via in barella e il predicatore convertito è impressionante, tanto che numerosissimi giornali e siti hanno inizialmente lanciato la notizia. La smentita è arrivata successivamente dall’avvocato dell’uomo secondo il quale il suo cliente si troverebbe in carcere. Al momento però non sono stati forniti elementi chiari a sostegno di ciò e tanto meno le autorità britanniche hanno dato un nome all’attentatore e sono quasi passate 24 ore. Vi è poi il flop investigativo visto che, come emerso questa mattina, i segnali di un imminente attacco a Westminster erano emersi sul web attraverso il forum 4Chan, ma erano stati sottovalutati dall’intelligence di Londra. Nella notte sono scattati blitz in varie parti di Londra e Birmingham, sono state effettuate perquisizioni e arresti, ma ancora una volta si è aspettato che l’estremismo islamista sfociasse in violenza, non si è stati in grado di prevenire. Attendere che l’attentato vada in porto per poi agire significa perdere in partenza, ma le premesse erano da tempo evidenti. Intanto si attende la rivendicazione: Isis? Al-Qaeda? Poco importa.

Differenti modalità operative ma medesima ideologia.

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