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"La vera origine del populismo è l'insofferenza per le oligarchie"

Quello che viene definito con disprezzo "populismo" rappresenta in realtà l'eterno conflitto fra chiusure oligarchiche e istanze democratiche; fra élites e i loro clienti da una parte e i ceti popolari dall'altra

"La vera origine del populismo è l'insofferenza per le oligarchie"

Vi è un disagio che coinvolge in America e in Europa milioni di persone, un disagio che deriva dalla sensazione di molti cittadini di essere trascurati dalle oligarchie egemoni, chiuse nella loro torre d'avorio. Quel disagio viene spregiativamente chiamato "populismo". In realtà si tratta dell'eterno conflitto fra chiusure oligarchiche e istanze democratiche; fra élites e i loro clienti da una parte e i ceti popolari dall'altra.

Alle origini della civiltà occidentale ci sono due passaggi fondamentali che hanno creato le premesse per la affermazione della democrazia e della sovranità del popolo ovvero del Parlamento: le Dodici Tavole e la Magna Charta.

Contro le oligarchie del tempo, e sulla spinta dei populisti del tempo, i plebei, le Dodici Tavole introdussero lo strumento per eccellenza della democrazia, la legge scritta, con lo scopo di eguagliare la libertà dei cittadini, fissare il principio della certezza del diritto, ricondurre alla volontà popolare le norme da applicare.

La Magna Charta limitò l'arbitrio del Monarca ed è alle origini del Bill of rights con cui si fissarono i diritti e le libertà fondamentali dei sudditi della Corona britannica.

Le Dodici Tavole sono il frutto di una società che ha una concezione contrattuale dello stato. Questa concezione sarà scolpita da Cicerone e sarà fatta propria dai pilastri del moderno pensiero democratico, Marsilio, Althusius, Locke e Rousseau. Per questa concezione la sovranità spetta originariamente ai cittadini che consensualmente decidono di devolverne l'esercizio allo Stato per un utile comune.

Il Bill of rights riflette a sua volta le idee di Locke all'insegna di 4 diritti fondamentali: vita, libertà, proprietà, sicurezza.

Entrambe queste tradizioni considerano lo Stato finalizzato principalmente a due funzioni: la difesa verso l'esterno e l'ordine interno, difesa dei confini e sicurezza. Ed è a questo fine che i cittadini hanno accettato il patto fiscale, che limita, in vista di un interesse comune, l'originario, indiscriminato diritto di disporre del proprio patrimonio.

Queste due tradizioni influenzeranno poi la Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti e la «Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino», su cui avrà una influenza decisiva Montesquieu, con la sua idea del potere giudiziario come potere nullo, semplice bocca della legge, proprio perché non rappresentativo, e Rousseau, con la centralità del cittadino.

Da questa tradizione nasceranno le carte costituzionali dell'Occidente democratico. Queste carte e queste rivoluzioni nascono per limitare i poteri dei governi, per contrastare le oligarchie e per garantire la libertà e la sovranità dei cittadini. Esprimono la essenza della democrazia.

Il XXI secolo si è aperto all'insegna della crisi della sovranità. Il destino dei popoli è sempre più nelle mani di governi sovrannazionali e istituzioni internazionali non rappresentativi, di tribunali internazionali e nazionali che pur senza legittimazione popolare si sostituiscono al legislatore, di lobbies finanziarie di dimensioni globali che condizionano il destino di governi nazionali regolarmente eletti e la stabilità di interi stati.

Lo strumento per affermare e legittimare il potere di queste oligarchie globalizzanti è proprio quello che si chiama il "politicamente corretto", ovvero una nuova religione, senza una divinità che la giustifichi, la religione dei diritti umani, moltiplicati a dismisura e cresciuti come un albero ipertrofico che, nato per proteggere dal calore del sole, ha finito per togliere la vista del cielo.

Si è così affermato persino il diritto a immigrare, come preteso diritto naturale di ogni uomo, violando i confini e a prescindere dalla volontà dei cittadini. Ci si è dimenticati che gli Stati nascono con la costruzione di mura, il primo atto di Romolo, proprio per difendere gli interessi prioritari dei cittadini. Questa nuova religione ha imposto le sue parole d'ordine un po' ovunque: una falsa solidarietà deve sempre prevalere sulla vera libertà. L'accoglienza è un dovere sempre e comunque. Il criminale una vittima dell'ingiustizia sociale. L'identità un intralcio al globalismo. L'Europa ciò che un tempo era la mamma: guai a parlarne male. L'Islam e il cristianesimo due religioni equivalenti. La famiglia naturale un falso storico. Il guadagno onesto l'oggetto della vergogna; più legittimo sarebbe invece il guadagno speculativo. Anche perché è quello che spesso finanzia i sacerdoti di questa nuova religione.

Si sta costruendo una ideologia che accomuna socialisti, cattolicoprogressisti e persino alcuni liberali caduti nella trappola del globalismo, una ideologia che finisce con il celebrare e legittimare le nuove oligarchie e che rende di fatto la sovranità dei popoli una immagine senza sostanza.

Tutto questo ha come conseguenza la sopraffazione delle identità in nome di un globalizzante multiculturalismo. Si chiede Ulrich Beck da che cosa è costituito il carattere europeo dell'Europa: dal cosmopolitismo, insomma il proprio dell'Europa, sarebbe di "non avere un proprio". L'Europa non deve più riconoscersi nella storia da cui è nata, deve "abdicare alla propria origine". E Alain Badiou conclude: "che gli stranieri ci insegnino a diventare stranieri a noi stessi, a progettarci fuori di noi, tanto da non rimanere prigionieri di questa lunga storia occidentale e bianca che volge al termine". L'immigrazione di popolamento è dunque per costoro "una possibilità di redenzione". Similmente per Gianni Vattimo l'Europa deve redimersi dalle tragedie del proprio passato abdicando a qualsiasi immagine di sé, dando ascolto all'ospite, riducendosi al dare la parola all'ospite. È quella che Roger Scruton ha definito "oicofobia", l'odio per la casa natale.

L'Europa è in crisi perché ha rinunciato alle sue radici comuni e ad una identità, e dunque ad avere un progetto credibile per gli europei e per il loro futuro. Queste idee si sposano perfettamente con le logiche di una globalizzazione della finanza e dei consumi. Le identità forti sanno resistere a quella società liquida tanto cara ai globalisti e che deriva, come ben ci ha descritto Bauman, dalla trasformazione dei suoi protagonisti da produttori a consumatori. La massa dei consumatori senza identità è il popolo ideale per l'era della globalizzazione, che si fonda su una visione miope e di breve periodo di grandi multinazionali a cui non importa il futuro dei nostri popoli, in cui prevale l'interesse a fare profitto ora, abbattendo il costo del lavoro grazie agli immigrati e allargando il più possibile la platea dei consumatori, senza confini di alcun tipo.

Non serve scomodare Spitz, Kohut o Fromm per comprendere l'angoscia dell'estraneo e l'effetto alienante che produce la crisi di identità. È la crisi che porta oggi milioni di cittadini a sentirsi a disagio nel proprio Stato, cioè in casa propria. Questi milioni di cittadini sono sempre più preoccupati da stili di vita non conformi ai propri interessi, alle proprie sensibilità, ai propri valori. Non si sentono più protetti da uno Stato che non svolge adeguatamente le sue funzioni originarie: la difesa dell'ordine interno e la difesa verso l'esterno e che invece moltiplica la spesa a favore di chi non contribuisce allo sviluppo della comunità. Tutto questo mette in crisi lo stesso patto fiscale: pago nella misura in cui lo Stato protegge gli interessi generali della comunità in cui mi riconosco.

L'ipertrofia dello Stato ideologico sviluppa in parallelo una oppressione fiscale e burocratica che penalizza soprattutto la classe media, la vera vittima di questa nuova società.

Sovvertire questo ordine ideologico è ormai urgente. Nel 2030 il Nord Africa avrà 300 milioni di abitanti, l'Africa 1 miliardo e 7. È chiaro che se prima di tutto non si ripristinerà il senso dei confini e della loro difesa, e la priorità dell'interesse nazionale saremo spazzati via e come scrisse Aurelio Vittore "gli stranieri domineranno sui romani" cioè su tutti noi. Con la rivoluzione dei robot spariranno milioni di posti di lavoro, se non si blocca l'invasione, ci saranno milioni di senza lavoro e senza futuro che destabilizzeranno le nostre società, come i proletari nella tarda repubblica romana.

E ancora: se fra 30 anni i mussulmani dovessero superare i cristiani in Germania e in Francia, quei milioni di islamici, magari dalla doppia cittadinanza, si sentiranno più legati al sultano turco o a Germania e Francia, ad un loro connazionale cristiano o si sentiranno parte della Umma, e condivideranno ancora il sogno europeo con un italiano? Fra 30 anni i nostri figli saranno nel pieno della loro vita. Dobbiamo essere generosi e responsabili verso il loro futuro.

Si profilano concretamente 5 settori di intervento: un governo responsabile dell'immigrazione che contrasti l'invasione; la protezione della sicurezza del cittadino, della sua vita, della sua incolumità e dei suoi beni; la subordinazione dei giudici alla legge votata dai Parlamenti; una nuova Europa che sia confederale che faccia bene solo ciò che è effettivamente utile ai popoli europei, che sia l'Europa della libertà e delle diversità dei popoli e dei territori e non un'Europa socialista delle regole, e dei divieti; la liberazione dalla oppressione fiscale e burocratica.

La politica ha talvolta logiche contingenti, proprio per questo è dunque necessaria una grande rivoluzione culturale che accomuni uomini di Paesi diversi: italiani, americani, russi, francesi, tedeschi, in un'unica grande battaglia, attorno ai valori della libertà, della patria, della proprietà e della sicurezza; una rivoluzione che per avere efficacia non può che superare i confini di singoli Paesi, coinvolgendo le forze sane dell'Occidente, la vera maggioranza morale, per elaborare proposte e una visione del mondo alternativi al politicamente corretto, che presuppongano la sovranità dei cittadini, il rispetto delle identità, e una sana dose di realismo.

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