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Viaggio tra le ingiustizie. Perché raccontare l'India

Uno Stato laico che ha fatto grandi passi indietro sotto certi aspetti e dove la crescita economica non ha contribuito allo sviluppo sociale

Viaggio tra le ingiustizie. Perché raccontare l'India

L’India è un grande e contradditorio Paese, dove la crescita economica degli ultimi anni non ha contribuito molto allo sviluppo sociale e ai diritti delle persone. Anzi, oggi possiamo dire che sotto certi aspetti, come quello religioso, lo Stato laico nato con la costituzione del 1950 ha fatto un passo indietro. Il premier nazionalista indù Narendra Modi, trionfatore nelle elezioni dello scorso anno, appare in forte difficoltà: l’entusiasmo degli investitori stranieri è crollato, mentre sul fronte interno deve fare i conti con gli agricoltori e con molti industriali che accusano il governo di non aver fatto nulla per creare nuovi posti di lavoro. Come accade anche in altri Paesi, quando i leader sono pressati dal sentimento popolare si affidano spesso al nazionalismo, da sempre fonte di stabilità e legittimità. Per Modi è stata naturalmente una scelta ovvia, visto che è membro del movimento nazionalista induista Rss, il cui obiettivo è trasformare l’India in una superpotenza indù. Anche se il premier ha abbandonato i toni incendiari della campagna elettorale, il nazionalismo indù ha avuto un forte incoraggiamento durante i suoi primi mesi di governo. Le pesanti campagne per convertire i cristiani e i musulmani, note come “ghar wapasi” (ritorno a casa), hanno oltrepassato il limite, tanto che sia la chiesa cattolica sia quella protestante hanno reagito, accusando il premier di dare “tacito supporto” alle conversioni religiose. L’obiettivo dei nazionalisti è semplice: promuovere l’induismo come religione nazionale. E tutti i mezzi sono leciti. Oltre alle intimidazioni, per attirare cristiani e musulmani dai villaggi e dai quartieri poveri, gli induisti offrono fino a 500mila rupie (oltre 6mila euro), una cifra enorme in un Paese dove il Pil pro capite supera di poco i 1.200 euro. Per molti significa cambiare la vita. In questo clima d’intolleranza aumentano anche gli atti vandalici, come l’incendio di una chiesa lo scorso dicembre a New Delhi, e le forme di fanatismo, come la proposta di celebrare Nathuran Godse, l’estremista indù che assassinò il Mahatma Gandhi.

L’India è anche sotto i riflettori per gli innumerevoli episodi di violenza, legati al rigido sistema sociale. Ogni anno più di 1.000 persone (oltre il 90% donne) sono sfigurate con l’acido. La maggior parte di queste aggressioni avviene per proposte di matrimonio rifiutate o per avance sessuali respinte. Spesso a essere sfigurata è la promessa sposa, anche se non ha colpe. La nascita di una figlia femmina in India, e non solo, è considerata una disgrazia dalla famiglia, che può contare solo su un matrimonio combinato e sul ricevimento della dote per rovesciare questa sfortuna. Ma se la famiglia del promesso sposo cadesse in rovina e non fosse più in grado di pagare la dote, il matrimonio sarebbe annullato dalla famiglia della ragazza. Qui scatterebbe subito la vendetta, con la promessa sposa vittima designata.

Le violenze sulle donne, in questo gigantesco Paese con oltre un miliardo e 200 milioni di abitanti, sono all’ordine del giorno. Qui si registra uno stupro ogni 22 minuti, e parliamo solo di casi denunciati. Numeri da far paura, tanto che un sondaggio di Thompson Reuters definisce l’India il quarto Paese più pericoloso al mondo per le donne e il peggiore del G-20. Un quadro sconfortante e cupo, ma a dipingerlo non sono solo gli stupri ma tutte le violenze e discriminazioni che trovano spesso le forze di polizia compartecipi e la magistratura miope e incurante. D’altronde, l’abbiamo scoperto a nostre spese con la vicenda dei due marò: dopo tre anni e mezzo, tra carcere e soggiorno obbligato in India, i giudici non hanno mai formulato un’incriminazione, violando non solo le norme internazionali ma anche i semplici diritti umani.

È proprio per questi motivi che vogliamo andare in India a vedere e poi raccontare quello che accade, come abbiamo già fatto in Siria, Iraq, Africa, Ucraina... grazie al sostegno di voi lettori. La vostra curiosità e la vostra sete di conoscere sono andate di pari passo con il vostro aiuto concreto ai reportage degli Occhi delle Guerra, l’iniziativa del Giornale.it per raccontare gli avvenimenti nelle zone calde del mondo. Vi chiediamo perciò di sostenere anche oggi il nostro reportage in India.

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