Mondo

Vivere in una cartolina, tra le case di paglia di Shirakawago

Lambita dal fiume Shokawa, coronata dalle foreste di cipressi e difesa dai monti sopravvive il villaggio di Shirakawa-go dove 600 persone vivono nelle case dai tetti di paglia

Vivere in una cartolina, tra le case di paglia di Shirakawago

Shirakawago è una cartolina. In cui vivono seicento persone che quotidianamente si battono letteralmente, in uno sforzo di comunità, per conservare un patrimonio storico e culturale eccezionale.

Inerpicarsi lungo la salita che porta al belvedere di Shiroyama è una vera sfida. La strada è costeggiata da un ruscelletto che precipita in una piccola cascata. Ci si affolla attorno, per cercare un briciolo di refrigerio. Giapponesi, cinesi, indiani, europei; coppie, gruppi di anziani, ragazzini in gita, aspiranti Robert Capa con la reflex e motociclisti in solitaria. Il caldo non fa sconti proprio a nessuno.

Affrontarla, e con lei la fatica del caldo e della salita, vale la pena. A valle c’è un gioiello che è entrato – a pieno merito – nel patrimonio dell’umanità dell’Unesco: il villaggio storico di Ogimachi a Shirakawago, il borgo delle case dai tetti di paglia.

C’è una sola strada asfaltata che unisce al centro cittadino la stazione dei bus che partono da e per Kanazawa e Takayama. Sembra un graffio, uno squarcio tra le foreste di cipressi e le rocce dei monti sotto cui scorre il pittoresco fiume Sho-kawa. Dall'alto è una lama d'asfalto che divide in due una cartolina che pare uscita direttamente dalla penna dei fratelli Grimm. Lo spettacolare scenario di Shirakawago è proprio quello di una fiaba.

Gli edifici, case, locande, persino templi e dimore private punteggiano il pianoro verde e si alternano alle piccole risaie, quasi domestiche. Si riescono a contare, si riesce quasi a distinguere tutte dall’osservatorio di Shiroyama. Ad aver pazienza si contano centotredici strutture in stile Gassho-zukuri, “a mani giunte”, a causa della particolare forma degli spioventi dei tetti, che scendono stretti a sessanta gradi.

Sono abitazioni, dove ancora vivono le famiglie del posto. Vivono lì circa in seicento. Sono templi e residenze storiche. Alcune di queste sono state riadattate a resthouse, sui loro tatami trovano refrigerio e riposo le famiglie e le donne che accompagnano i bambini. La residenza dei Wada e lo Shoro-mon del tempio Myozenji, fondato nel dodicesimo secolo, circondate dai laghetti di ninfee, dai canali dove nuotano le immancabili carpe e dai muretti di pietre a secco, sono tra le più belle testimonianze di tutta l’area.

Nella loro storia, e in quella del villaggio, c’è tutta la complessità del Giappone. La lotta fra i templi buddisti e gli shogunati, la tradizione agricola e della seta, l’isolamento tra i monti che nemmeno la modernizzazione forzata della nazione, voluta a metà dell’Ottocento durante l’era Meiji riuscì a vincere. Poi, dopo la seconda guerra mondiale, le tecniche edilizie moderne e i pesanti costi di manutenzione delle case storiche avevano quasi convinto gli abitanti ad abbattere le vecchie case e farne costruire di nuove. Si sarebbe perso – per sempre – un tesoro unico. Così, dagli anni ’70, è iniziato un processo di tutela e protezione del patrimonio storico e culturale di uno dei posti più belli e autentici del Giappone e nel 1976 dal governo centrale iniziarono ad arrivare sovvenzioni per aiutare economicamente gli abitanti a custodire una tradizione secolare.

Ma quella battaglia non era per niente finita, anzi. Era appena iniziata. Perché la difesa della bellezza non è (solo) contemplazione. Sono tre i fronti aperti su cui ogni giorno si combatte per tenere in vita il villaggio. Si tratta della sfida del fuoco (le case in paglia e legno sono estremamente infiammabili e i divieti di fumo già strettissimi in Giappone qui diventano ancora più duri), delle grandi nevicate che imbiancano (rendendo ancora più incantevole) quest’angolo di paradiso, e dell’usura dovuta al passare del tempo contro cui lottano le yui, squadre di circa duecento cittadini che ogni anno si occupano di rimettere a posto le abitazioni che hanno riportato danni durante l’inverno. Qui c'è una comunità che si unisce in uno sforzo collettivo a tutela della bellezza.

E proprio vicino all'osservatorio Shiroyama, tra gli alberi che offrono un po' di sollievo a chi ha osato salir fin lassù senza cedere alla tentazione della scorciatoia in bus, c'è il lastrone (bruttino) dell'Unesco che scolpisce Shirakawago nel patrimonio universale dell'umanità.

Commenti