Cultura e Spettacoli

È morta Clelia Marchi, la «scrittrice del lenzuolo»

Aveva 93 anni. Rimasta vedova, aveva scritto sulla tela le sue memorie. Che diventarono un bestseller

Clelia Marchi ha spento il lume. La «scrittrice sul lenzuolo» è morta ieri nella sua casa di Poggio Rusco nel Mantovano. Aveva 93 anni. La sua vicenda narrativa può sembrare una sorta di Museo Guatelli (quell’incredibile collezione nel Parmense dove Ettore Guatelli ha raccolto a migliaia le memorie dell’Italia povera dell’era pre-consumistica) trasferito dagli oggetti alla memorialistica. Una memorialistica naïf, ma non per questo meno efficace, fino a raggiungere, pur nell’incertezza della lingua che indugia spesso nelle forme dialettali, un indubbio valore letterario.
Clelia Marchi era nata il 19 aprile 1912. Aveva 14 anni quando «dietro la macchina del frumento» conobbe Anteo Benassi che sarebbe diventato suo marito, il compagno amato e rispettato di tutta una vita. A sedici, Clelia partorì il primo figliolo, al quale ne seguirono altri sette. Quattro morirono bambini. Una vita dura, la sua, divisa tra il lavoro dei campi, quello domestico e la crescita dei figli, ma cementata dall’affetto familiare.
Dopo tanti sacrifici, Anteo riuscì a comprarsi finalmente la casa, ma la sorte gli era contraria: morì all’improvviso. Clelia aveva sessant’anni e per riuscire a tirare avanti così, sola, senza l’amato compagno, decise di mettersi a scrivere i ricordi della sua vita, quelli belli e quelli brutti. Ma la carta per scrivere costava troppo, perciò Clelia decise di fare a meno di quaderni e bloc-notes, tirò fuori dall’armadio un lenzuolo matrimoniale bianco, di quelli belli del corredo di sposa, incollò sul lato sinistro una fotografia del marito, sul lato destro la sua, al centro il Sacro cuore di Gesù. E sotto questo frontespizio cominciò a scrivere. Di notte, con il lenzuolo avvolto intorno al cuscino, srotolandolo man mano come fosse un antico papiro. Righe e righe scritte a penna, con una scrittura un po’ incerta ma uniforme, che alla fine raggiunge perfino un curioso effetto grafico.
Mise giù le sue memorie fino al 1985 poi andò a far vedere il lenzuolo, ormai tutto coperto di scrittura, al sindaco di Poggio Rusco. Il primo cittadino comprese immediatamente di trovarsi di fronte a qualcosa che oltrepassava la semplice curiosità e decise di interessare l’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano (Arezzo), che raccoglie oltre 5.000 storie inedite scritte in forma di diario. In un giorno d’inverno del 1986, Clelia arrivò col suo lenzuolo a Pieve Santo Stefano, senza sapere che il suo singolare diario non si sarebbe fermato lì. Tre anni dopo nel 1989, Luca Formenton, nipote di Arnoldo Mondadori, durante una visita a Poggio Rusco, paese d’origine del nonno, venne a sapere del lenzuolo di Clelia. E lo volle vedere.
Nel 1992, quando Clelia aveva già ottant’anni, il lenzuolo, trascritto da Rosanna Mai, diventò un libro con il titolo Gnanca na busïa (Mondadori), e con la prefazione di Saverio Tutino. Neanche una bugia: Clelia Marchi ha raccontato senza inventare né nascondere nulla, le vicende allegre e quelle tragiche, le nascite e le morti, i parenti e i compagni di lavoro, le stagioni e le guerre. Uno straordinario documento che diventò un bestseller.
Ma la vita di Clelia non mutò: rimase a vivere nella casa comprata da Anteo con tanti sacrifici, dove ieri è morta.

Oggi viene sepolta accanto al marito.

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