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È morto Tony Bennett crooner senza tempo. Duettò con Lady Gaga

Ha sfondato negli anni '50, rilanciato la sua carriera negli '80 e collaborato con tutti i più grandi del pop e del rock

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Non ci fosse stato Frank Sinatra sarebbe stato il più grande tra i crooner, giocandosela con Dean Martin e Perry Como, ma lui comunque è stato il più longevo e ha attraversato con ispirazione e autorità settant'anni di musica popolare americana fatta di ballate e di jazz.

Se n'è andato a 96 anni Anthony Benedetto da New York, meglio noto agli appassionati di musica come Tony Bennett, voce vibrante ed eleganza interpretativa che lo hanno portato a firmare un centinaio di album e a conquistare venti Grammy. Il papà veniva dall'Italia (dalla provincia di Reggio Calabria) e la mamma sarta era nata in America da origini italiane. Anthony Benedetto (perché il nome d'arte glielo suggerirà anni dopo Bob Hope) ha sin da bambino una spiccata passione per il canto. Tony ha la stoffa e viene scelto per cantare ad alcune manifestazioni pubbliche mentre di sera guadagna qualche mancetta nei ristoranti alla moda del Queens.

La guerra - è soldato di fanteria in Germania - interrompe temporaneamente la sua carriera, che riprende nel '46, quando inizia a studiare anche l'opera e il belcanto. Prima di interpretare classici senza tempo come I Left My Heart In San Francisco Tony Bennett canta di tutto e di più in tutti i locali di New York. Anche e soprattutto nei piccoli jazz club, ed è proprio in uno di questi, al Greenwich Village, che viene scoperto dalla cantante jazz allora in auge Pearl Bailey e da Bob Hope.

Nel '59 firma il suo primo contratto discografico con la Columbia, che stava perdendo Frank Sinatra. Per la casa discografica Bennett diventa l'erede di «The Voice», anche se qualcuno gli suggerisce di non imitarlo. Ma voce da crooner non mente e Tony si dà da fare con il suo canto robusto e ben formato e incide Because of You che - con l'arrangiamento di Percy Faith - vende oltre un milione di copie. Poi verranno i classici Cold Cold Heart e Blue Velvet: è il nuovo eroe jazz degli anni '50. Ormai è una star e la sua voce regge qualsiasi sforzo, persino (un record) sette spettacoli al giorno al Paramount Theatre.

La sua carriera è scandita da continui successi ma con l'avvento del rock and roll - lungi dal cavalcarne l'onda - Bennett mantiene la sua integrità spostandosi ancora di più verso il jazz tradizionale con dischi come The Beat of My heart. Come Perry Como, anche Tony Bennett al il suo show televisivo. La sua fama lo porterà a essere la voce della popolare e blasonata orchestra di Count Basie e a tenere seguitissimi concerti solisti nelle sale più popolari degli Stati Uniti all'inizio degli anni Sessanta, dove sfonda letteralmente con I Left My Heart In San Francisco (1962) che conquista due Grammy.

Negli anni '70 tutti vogliono cantare con lui, passa alla Mgm e incide i suoi dischi più amati dagli appassionati di jazz, accompagnato dal pianista Bill Evans. Nel frattempo diventa una delle star più ricercate di Las Vegas (come Elvis ai suoi tempi) ma non tutto ciò che è oro. Dall'uomo elegante e sex symbol che è Tony Bennett è schiavo della cocaina e nel 1979 rischia la vita per un'overdose, da cui esce con l'amorevole aiuto dei figli. Gli anni '80 sono anni di attesa, che vedono al suo fianco il figlio Danny come manager e arrangiatore mentre nei '90 le barriere con gli altri stili musicali e canta, oltre che con Placido Domingo, con i Red Hot Chili Peppers e Elvis Costello.

Negli anni Duemila è il re incontrastato del jazz e del pop e interpreta due album di duetti con artisti del calibro di Paul McCartney, Stevie Wonder, Aretha Franklin e il suo allievo Michael Bublè. Nonostante l'Alzheimer, Bennett continua a lavorare e ad incidere dischi... È del 2021 il suo disco numero 103, Love For Sale, con Lady Gaga.

Al Fairmont Hotel di San Francisco è stata costruita una statua di otto metri in suo onore.

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