Controcultura

Mr. Bean diventa Maigret E non c'è niente da ridere

Arriva la serie tv ispirata al commissario di Simenon: Rowan Atkinson non fa rimpiangere il nostro Gino Cervi

Mr. Bean diventa Maigret E non c'è niente da ridere

Il primo movimento di macchina parte da una celebre chimère a forma di demone che l'architetto Eugène Viollet-le-Duc volle aggiungere, a metà Ottocento, in cima alla facciata di Notre-Dame, con sullo sfondo la Torre Eiffel. Ma tutto è molto, molto meno scontato di quanto sembri.

Nulla è scontato nell'inatteso mondo di Georges Simenon. Neppure che il compassato commissario Maigret possa avere, come nella nuova serie televisiva ispirata alle storie poliziesche dello scrittore belga, il volto e il physique dell'attore comico Rowan Atkinson, surreale quando è Mr. Bean, perfetto nel ruolo dell'investigatore più celebre della letteratura del Novecento. Chi avrebbe detto, quando la prima puntata fu trasmessa dalla britannica ITV nel marzo dell'anno scroso, che la dissacrante maschera buffa di Atkinson si sarebbe adattata all'aspetto severo, chiuso, riflessivo dello scontroso Maigret? Eppure, la miniserie, che doveva esaurirsi dopo i primi due episodi, visto il clamoroso successo (sei milioni e mezzo di spettatori), è stata rinnovata per una seconda stagione. E ora, lungo quel robusto filo giallo che lega il commissario francese al pubblico di lettori e telespettatori italiani, arriva in prima tv su laeffe (SKY canale 139) venerdì 15 e 22 dicembre. E ieri, a Milano, per BookCity, ha avuto una festeggiatissima anteprima al teatro Elfo Puccini. Doveva esserci anche un fan d'eccezione, il giallista Marco Malvandi, che però ha visto in privato la serie: «Mi è piaciuto molto il fatto che Maigret parla molto poco, e che tutti quelli con cui interagisce sembrano prenderlo per fesso fino al momento in cui apre bocca per far notare un'incongruenza. Peccato invece, perché fa parte del personaggio, la quasi totale assenza di bettole e bistrot dove Maigret è solito lubrificare il cervello a colpi di bianchini già dal mattino...».

E così il leggendario commissario Jules Maigret - un'onorata carriera di 75 romanzi e 28 racconti, da noi tutti nel catalogo Adelphi - torna a investigare sul piccolo schermo. Dagli anni '50 a oggi è stato protagonista di duecento fra telefilm, sceneggiati e film per la tv (e 14 film), dal Giappone all'ex Unione Sovietica, dalla Francia all'Italia: tutti da noi ricordano ovviamente le inchieste del «commissario» Gino Cervi andate in onda sulla Rai fra il 1964 e il 1972, ma ci fu a metà anni '80 un grande Maigret radiofonico interpretato da Alberto Lionello, mentre quello di Sergio Castellitto, del 2004, è già stato dimenticato.

Tutti, invece, ricordano la descrizione che ne fa Georges Simenon, quando lo fa nascere, letterariamente, nel 1931: «Maigret non somiglia ai poliziotti resi popolari dalle caricature. Non aveva né baffi né scarpe a doppia suola. Portava abiti di lana fine e di buon taglio. Inoltre si radeva ogni mattina e aveva mani curate. Ma la struttura era plebea. Era enorme e di ossatura robusta».

Piccolo, elegante, passo dinoccolato, leggermente ingobbito, Rowan Atkinson - sopracciglia pesanti e tono di voce leggero, doppiato da Marco Mete - è, al di là del canone filmico, un Maigret perfetto. Non una smorfia in 90 minuti (la durata media dei quattro episodi realizzati finora), ha smesso tutto il cinismo, la distrazione, la cattiveria del suo Mr. Bean per indossare, assieme al celebre cappotto col collo di velluto, tutta l'umanità dolente e compassionevole del poliziotto del Quai des Orfèvres, il Palazzo di Giustizia sulle rive della Senna. «Ho sempre impersonato figure strane, eccentriche. Stavolta ho dovuto trovare un modo per rendere un uomo molto ordinario, che fa un lavoro straordinario... E non ero sicuro di riuscirci», ha detto l'attore. «È una delle interpretazioni di Maigret più veritiere di sempre», gli ha risposto, rendendogli giustizia, John Simenon, figlio dello scrittore e produttore esecutivo della serie. Lo sguardo non ha nulla di comico, gli occhi inglesi sono freddissimi, la recitazione è tutta al servizio della drammaticità del personaggio, e i lunghi silenzi - che fanno da contraltare all'effetto pipa di tanti altri Maigret - sono lo sguardo triste sulla realtà squallida e banale di un incrollabile sgrovigliatore delle contraddizioni dell'animo umano. Penserete che ci sia da ridere, nel vedere un Maigret interpretato da Rowan Atkinson. E cadrete nella trappola.

Eccolo, il primo episodio: La trappola di Maigret (cui seguirà Il morto di Maigret, e poi per la prossima stagione Il mistero del crocevia e Maigret a Montmartre). Fedelissimo al romanzo del 1955 (diventato anche un film nel '58 con Jean Gabin), ambientato in una Parigi degli anni Cinquanta un po' troppo da cartolina (e infatti è tutta ricostruita a Budapest, perché girare veramente in Francia richiedeva costi troppo elevati), Maigret tend un piège è un caso noto. Un serial killer ha già ucciso cinque donne nel quartiere di Montmartre (la storia è cronaca di oggi: «Lo stesso disgusto di un uomo che non riesce a vedere la donna come un essere umano»), e il commissario è sotto la pressione del ministro dell'Interno e dei giornali. Ci vuole un tranello per incastrare l'omicida. Ma non basta. Serve osservazione («Si può ricostruire l'universo, osservando le cose più piccole»), analisi, psicologia, intuito. Quelli li ha Maigret. Poi serve un doppio colpo di scena finale, da maestro. E a quello pensa Georges Simenon.

Anche televisivamente, funziona benissimo.

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