Roma

Museo del tesoro di S. Pietro, 15 secoli di storia

Una delle tappe obbligate della visita al Museo del Tesoro di San Pietro, che conserva 15 secoli di storia della basilica, è il monumento funebre di Sisto IV. Commissionato dal nipote cardinale Giuliano della Rovere, futuro papa Giulio II, ad Antonio del Pollaiolo, celebra il papa del Rinascimento, della Cappella Sistina, della Biblioteca Apostolica Vaticana, di ponte Sisto.
Il papa che, donando al Campidoglio nel 1471 i grandi bronzi romani conservati al Laterano, decretava l’istituzione del più antico museo pubblico del mondo. E il grande Pollaiolo realizza in dieci anni (1484-1493) un’enorme e originale macchina decorativa, degna di un re, che non viene addossata alla parete, ma posta al centro della cappella.
Il papa (che volle essere sepolto nella nuda terra), è disteso in abiti pontificali su un materasso coperto da un lenzuolo ricamato, il volto sofferente ritratto con realismo impressionante. Intorno formelle con figure allegoriche delle sette virtù, cardinali e teologali, delle arti e delle scienze, rappresentate da avvenenti fanciulle (che scandalizzarono i critici dell’Ottocento anche per l’assenza di immagini sacre), inframmezzate dagli stemmi dei della Rovere, la quercia e le ghiande. Completano l’opera l’epitaffio del papa e l’epigrafe con la firma e la data dell'artista fiorentino «famoso nell’argento, nell’oro, in pittura e in bronzo».
Ora dopo due anni di lavoro, è possibile rivedere i particolari di uno dei massimi capolavori della scultura rinascimentale, in antico detto la “Cappella Sistina in bronzo”. Restaurato a cantiere aperto da Sante Guido e Giuseppe Mantella, col supporto di sofisticate indagini non invasive, l’opera molto danneggiata per i continui spostamenti (è stata anche nelle grotte vaticane), ricoperta da uno strato scuro a causa di inquinanti, zolfo, cloro, cere, ha riacquistando la sua tonalità originaria.
«Abbiamo lavorato come gli archeologi - dice Guido - togliendo strati di polvere, grasso, cere, alterazione, corrosione, fino ad arrivare alla patina verde da mantenere». E si è scoperto il modo di lavorare di Pollaiolo e particolari sfuggiti a una prima lettura. Il cordoncino sottile che racchiude tutte le formelle è quello dei francescani a cui il papa apparteneva.
Dal grande al piccolo. Nella cappella dei beneficiati, che conserva il tabernacolo di Donatello, è esposto fino al 12 aprile un altro tesoro, la Crux Vaticana o Croce di Giustino, affidata per un anno e mezzo al restauro sapiente dello stesso maestro Guido. Alta solo 35 cm, ma di immenso valore simbolico, è un rarissimo esempio di committenza imperiale di epoca bizantina.
Giunse a Roma da Costantinopoli fra il 565 e il 578, dono dell’imperatore Giustino II e della moglie Sofia raffigurati in sontuose vesti di cerimonia sul retro. I bracci della croce sono rivestiti di lamine in argento dorato e di gemme preziose. In origine solo perle, zaffiri e smeraldi simbolo di incorruttibilità e purezza, prerogativa della famiglia imperiale. Lungo i bracci corre un’iscrizione incisa a bulino a Costantinopoli in cui i donatori si autocelebrano, all’incrocio la capsella con la reliquia, il legno della vera croce, racchiusa in una corona di dodici perle.
Durante il sacco di Roma del 1527 la croce venne portata via dai lanzichenecchi e danneggiata al tempo della repubblica romana. L’inquinamento e i restauri di fine ottocento fecero il resto. «Ci sono voluti otto mesi per prenotare in Australia le perle dalle tonalità calde e della misura giusta per i castoni della capsella», racconta Guido che ha restituito alla croce la sua cromia originaria nel ritmico alternarsi di perle e gemme colorate, grezze e semilavorate. A memoria di entrambi i restauri sintetici cataloghi Edizioni Capitolo Vaticano.


Museo storico artistico «Tesoro di San Pietro», Città del Vaticano. Tel : 06-69881840

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